Premessa
Quella che in atto da alcuni mesi in Italia è la riedizione della strategia della tensione in forme nuove, cui il governo giallo verde sta dando qualcosa di più di una copertura. Proprio perché le forme sono nuove, tuttavia, occorre tenersi alla larga da analisi che proliferano anche in rete e su facebook, che se la prendono con gli aspetti più folkloristici, oppure con comportamenti che sono rivelatori della miseria umana di ministri e altri esponenti di questo governo; con il risultato che criticando tali atteggiamenti non si fa altro che amplificarne il messaggio. Giusto denunciare i fatti più gravi e le contraddizioni palesi della compagine governativa, le violenze, le intimidazioni, le mancate promesse fatte durante la campagna elettorale (mancata reintroduzione dell’articolo 18, nuova introduzione dei voucher, No tav No tap ecc.); ma non le sparate, che spesso sono fatte proprio in base a una strategia comunicativa che si serve delle reazioni pavloviane contrarie per essere diffuse. Ci vuole silenzio, a volte, ma specialmente cercare di capire le ragioni profonde e non superficiali di ciò che sta accadendo e che non verrebbero meno neppure se questo governo cadesse a settembre quando si tratterà di varare la legge finanziaria. Se ciò avvenisse, sarebbe niente altro che il ricatto delle elite neoliberiste sconfitte e non per una opposizione politica che non esiste e neppure una protesta sociale organizzata almeno fino a questo momento, anche se qualche segnalo di risveglio in questo campo c’è; dunque non cambierebbe nulla nelle dinamiche di fondo.
Certi atteggiamenti e provvedimenti del governo e del suo ministro degli interni sono l’accelerazione di un processo in atto da tempo, trasversale agli esecutivi che si sono succeduti.
Perciò interpretare quanto sta accadendo come la vigilia del ritorno del fascismo nelle sue forme storiche rivela oltre che pigrizia mentale anche un pericolo appena dietro l’angolo: la tentazione di farsi invischiare in fronti popolari o unità antifasciste che riporterebbero (forse) al potere, i governi neoliberisti di Grosse Koalitionn che sono i primi responsabili della diffusione della precarietà e di una forma di fascismo economico che non nasce oggi bensì dalle politiche trentennali delle elite neoliberali bipartizan che hanno separato i diritti individuali e civili dai diritti sociali. Con questa affermazione non intendo affatto sottovalutare quanto sta accadendo, ma proprio il contrario: la situazione è molto seria e pericolosa, ma va prima di tutto compresa nella sua specificità e non nelle apparenti analogie storiche. Cercherò di farlo dialogando con due documenti distanti nel tempo e diversi per ampiezza di riflessione. Quello più recente è un breve intervento di Lea Melandri, il secondo è una lungo saggio ripubblicato da Dinamo lo scorso anno, ripreso Sinistra in rete, ma che risale ad anni prima. Naturalmente la scelta di accostarli è solo mia e dunque solo io ne sono responsabile, ma convinto come sono che sia il momento di gettare ponti o almeno cercare di farlo, lo faccio e basta, sperando che si chiarisca durante il percorso anche il motivo che mi ha spinto ad accostarli.
Il ciclo reazionario: un tentativo di analisi
Lea Melandri, in un intervento dal titolo Il popolo come mito e come realtà sociale scrive:
La crisi delle istituzioni, la loro sempre più debole capacità di “rappresentare” gli interessi e le spinte al cambiamento di una maggioranza di cittadini, pur nella diversità delle loro condizioni sociali e ideali politici, sembra essere l’elemento inquietante di convergenza tra populismi di destra e di sinistra. C’è chi agita il mito del popolo sovrano per scardinare la democrazia e chi, al contrario, spera di allargarne le maglie, facendo crescere le opportunità di partecipazione.
La presa di distanza dalle istituzioni non è da oggi. Che cominciassero a venire meno le ragioni storiche che le avevano fatte sembrare necessarie, e che stesse rapidamente cambiando la realtà sociale con il modificarsi dei confini tra privato e pubblico, la comparsa di forme autonome dell’agire politico, create dai movimenti fuori dalle organizzazioni partitiche e sindacali, si era già visto alla fine degli anni Sessanta.
A proposito del depotenziamento della polarità sinistra-destra, scriveva Elvio Fachinelli:
“Propongo di esaminare la necessità tragica, in cui si è trovata finora gran parte della specie, di ricorrere a una serie di polarità in forte tensione, di dicotomie simboliche che, variando di sostanza e di figura, hanno sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia. Basterà pensare alla dicotomia fedele/infedele, credente/non credente, razza eletta/razza reietta..” (E.Fachinelli, Il bambino dalle uova d’oro, Feltrinelli 1974)
Sono passati da allora alcuni decenni, ma le coppie oppositive, su cui si sono rette le civiltà finora conosciute non accennano a darsi per vinte, a partire da quella originaria che ha considerato il sesso femminile il complemento organico dell’unico umano perfetto: l’uomo.
Il legame tra società e Stato ha fatto da tempo il suo ingresso nella sfera pubblica e se ancora si vede solo il deserto su cui crescono fatalmente nuovi totalitarismi e inconsistenti governi democratici, è perché nessuno, tra i politici, gli intellettuali, gli opinionisti, sembra vederlo e volerne parlare.
La sguardo lungo contenuto in questa parte del documento, specialmente dalla citazione di Fachinelli in poi, si presta a considerazione di più ampio respiro che si richiamano all’esperienza femminista. Accosto questa citazione a quest’altra del collettivo Luogo Comune, con un’aggiunta mia e cioè che dopo Brexit e l’elezione di Trump, il ciclo reazionario va letto come una tendenza che si manifesta a livello mondiale e non solo italiano ed europeo:
Con “Tesi sul nuovo fascismo europeo”, il Collettivo Luogo Comune con straordinario anticipo sui tempi aveva posto l’attenzione sulle caratteristiche specificamente post-fordiste del nuovo fascismo. Differentemente da quello degli anni Venti e Trenta, nel quale militarizzazione del lavoro salariato, corporativismo e iperstatalismo avevano anticipato, nel contesto europeo e in forma autoritaria, la diffusione del modello fordista-keynesiano, quello attuale sembra invece registrare il disallineamento crescente tra stato, mercato e società. Questa nuova natura la si potrebbe vedere nel trattamento ambiguo che la torsione autoritaria intrattiene con tutto ciò che è “informale”, sub-legale e sommerso. Le nostre città sono divenute il teatro di un doppio processo, solo apparentemente contraddittorio: mentre da una parte imperversa una guerra senza quartiere contro le forme di vita e le economie informali dei poveri (quando queste esprimono forme di sopravvivenza e socialità alternative a quelle del mercato e dello stato); dall’altra parte assistiamo alla legittimazione crescente di quelle forme di mobilitazione della “società civile” che puntano alla moralizzazione e securitizzazione della vita e dello spazio pubblico.
La citazione è contenuta in un saggio del 1993, ma se mettiamo in fila una sequenza di fatti accaduti da un paio di anni a questa parte, lo scenario è simile in modo impressionante a quello che abbiamo sotto gli occhi a partire dai provvedimenti di Minniti e dal suo tentativo di concordare con pezzi criminali di società sia libici sia italiani, i flussi migratori: dove erano allora gli indignati da tastiera attuali? Continuo con il collettivo Luogo Comune ripreso da De Nicola:
Assieme a questo, assistiamo sotto i nostri occhi alla creazione e alla tolleranza di zone di abbandono controllate, caratterizzate da una raffinata gestione degli illegalismi criminali. Bisognerebbe vedere nell’insieme di questi processi per nulla incompatibili una dialettica programmata che fa sorgere l’ordine dal disordine; nella diffusione della criminalità più o meno organizzata, l’embrione di una nuova polizia; negli eserciti civili del decoro, la riproduzione di uno stato in miniatura. Invece di limitarsi ad un confronto tra partiti e gruppi dell’estrema destra, il ciclo reazionario si sostiene e si rafforza nella dimensione societaria, quella stessa dimensione dove i movimenti sociali collocano gli esperimenti dell’istituzionalità autonoma e comune: differentemente da questi ultimi però, in questo caso il conflitto di competenze tra stato, società e mercato si risolve temporaneamente in una militarizzazione delle leggi della domanda e dell’offerta e in una socializzazione e diffusione informale delle funzioni dello stato…
Come non vedere nel diffondersi di atti di violenza più meno organizzati o più o meno fai da te - per poi essere avallati posteriori anche da esponenti del governo - proprio il dispiegarsi concreto nel territorio di quanto ipotizzato nel documento? Per questo ho esordito nella premessa a questo scritto sulle analogie con la strategia delle tensione, perché essa non mirava al varo di governi autoritari o addirittura a colpi di stato, ma a fare emergere dal disordine l’ordine, sfruttando le capacità acquisite nel campo della guerra asimmetrica apprese da tutti gli apparati statali occidentali e sovietici durante la Guerra Fredda. A chi obietta che si tratta di episodi troppo estemporanei per pensare a qualcosa di organizzato, mi limito per il momento a indicare una serie di fatti accaduti - senza commentarli - da un anno a questa parte. Sono tutti episodi di violenza o di intimidazione diffusa. Non mi occupo per il momento di atti politici di repressione di cui scriverò in seguito e neppure del quadro più grande in cui tutto questo si inscrive e cioè la violenza sistematica contro migranti, donne, abusi sui luoghi di lavoro e altro.
Il primo esempio di una nuova strategia della tensione fu l’azione terroristica del nazi-leghista Traini a Macerata. Dopo di quello, ecco l’elenco cronologico (senza indicazione delle date per ognuno) dei fatti:
- l’incendio al centro sociale Magazzino di Brescia:
- l’aggressione a Pioltello a militanti di Liberi e Uguali che stavano attaccando manifesti elettorali e il giorno dopo a militanti di Potere al popolo, durante la campagna elettorale.
- L’aggressione di Como da parte di Forza Nuova a una emittente locale.
- Il presidio intimidatorio sempre di Forza Nuova contro i giornalisti autori di inchieste sul neofascismo.
- L’assassinio dei due lavoratori senegalesi a Firenze.
- Le ronde di Pavia che assalgono ragazzi di colore neofascisti che vengono lasciati liberi di minacciare e accoltellare.
- La schedatura con apposizione di segni nazisti sulle loro case, sempre a Pavia, di militanti politici e persone semplicemente impegnate in associazioni di volontariato.
- L’uccisione di Sacko a Rosarno subito dopo le elezioni del 4 marzo.
- le intimidazioni omofobe ai sentinelli di Milano e al loro leader.
- Le intimidazioni rivolte a una giornalista dell’espresso ancor ape rle su inchieste contro razzismo e fascismo.
- Gli incendi di campi rom
- Le quotidiane aggressioni a lavoratori immigrati con regolare permesso di soggiorno a Roma e in altre parti del paese.
- Lo sparo con pistola ad aria compressa della bambina rom a Roma.
- L’aggressione a un immigrato rifugiato in un centro organizzato da una parrocchia
- L’aggressione al giornalista Nascimbeni.
- L’inseguimento a Milano nei confronti di una donna che aveva fatto l’elemosina a un immigrato.
Spero di averne dimenticati pochi di episodi ma penso che si sia capito il discorso e temo purtroppo che se ne aggiungeranno altri nei prossimi giorni. Si può dire che tutto questo è solo il frutto di trascinamento di un imbarbarimento culturale e politico, anche quando a metterli in atto sono le truppe di complemento del ministro degli interni e cioè i suoi alleati di Forza Nuova e Casa Pound? Tornando agli altri governi europei, le misure securitarie del governo francese, per esempio, sono durissime in tema di migrazioni e non solo, le leggi speciali antiterrorismo sono ancora in vigore; poi la lois travail e le misure fiscali di Macron che portano a un ulteriore trasferimento di ricchezza agli strati più ricchi della popolazione, in consonanza con l’ipotesi di flat tax ipotizzata dal governo italiano. Se non c’è fascismo strisciante in Francia è per via del centralismo delle stato francese e delle politiche repressive gestite dall’alto che rendono superfluo il ricordo alle truppe di complemento. Quello che sta avvenendo in Germania va nella stessa direzione e anzi, ci sono aspetti molto simili con quanto sta avvenendo in Italia, per esempio che gli atti intimidatori e addirittura gli incendi dei centri abitativi dove abitano immigrati, sono gestiti da organizzazioni neonaziste informali, coperte da Alternative für Deutschland.
La parte finale del documento del collettivo è quella più interessante perché indica proprio quel mutamento di paradigma nei rapporti fra stato e società civile criminale, dove la socializzazione e diffusione delle funzioni dello stato, cioè la delega alle mafie di funzioni di controllo del territorio, per esempio, oppure a soggetti della società civile (le ronde e altro) il compito di adempiere funzioni securitarie, sono l’aspetto nuovo e che ha conseguenze assai importanti che vedremo. Quali sono però le cause di questa delega a una società civile criminale o potenzialmente tale, di alcune funzioni statuali? Cito ancora una volta De Nicola:
Questo ciclo politico è al contempo l’effetto della “crisi di egemonia” delle élite e dell’ordine del discorso neoliberale, e la reazione organizzata all’ondata dei movimenti anti-austerità e democratici degli anni centrali della crisi economica. Il ciclo consiste in una serie di mutamenti che convergono nel riallineamento autoritario delle istituzioni statali, in un rafforzamento della balcanizzazione della società e del mercato del lavoro sulle linee della razza e del genere, e nella “rifeudalizzazione” dei rapporti sociali ed economici, anche quelli più minuti e molecolari. Per l’essenziale, questa tendenza si presenta come “non-inclusione” di una parte crescente dei subalterni… Secondo un’idea particolarmente diffusa, la cosiddetta fascistizzazione del corpo sociale sarebbe da interpretare come l’estrema conseguenza dell’impoverimento economico innescato dalla crisi. La logica è tanto ferrea quanto lineare: questo spingerebbe i poveri a un’inevitabile “guerra” con i propri simili, laddove la povertà porterebbe a galla una specie di loro “stato di natura”. Nonostante le concezioni “naturalistiche” e “antropologiche” della povertà contenute in questa logica appartengano al più tradizionale repertorio delle scienze sociali reazionarie, questa teoria implicita è straordinariamente diventata senso comune anche presso gli ambienti di sinistra. Sempre più spesso si va a cercare nella “lotta per la sopravvivenza” degli ultimi – o, con maggiore raffinatezza, dei penultimi contro gli ultimi – la “questione sociale” che si nasconde dietro l’adesione di parti crescenti della popolazione ai valori microfascisti: il fascismo sembra essere divenuto il destino dei poveri tanto quanto la deprivazione materiale ne sarebbe la misura. Eppure, l’impoverimento in quanto tale produce risposte variegate per nulla riducibili a quelle indicate. Bisognerebbe invece cercare altrove: il microfascismo non è l’effetto lineare della crisi della riproduzione sociale, ma il contraccolpo di un altro processo, la “democratizzazione” della proprietà privata. Spesso il neoliberalismo viene strettamente identificato con la figura dell’”imprenditore di sé”, ci si dimentica invece l’altro immancabile polo, l’affermazione dell’”uomo proprietario”. Dalla Thatcher in poi, in Europa, la diffusione del neoliberalismo si è associata al grande progetto di estendere a tutte le classi sociali l’accesso alla proprietà privata e a tutti gli ambiti della vita la logica patrimoniale: la “popolarizzazione” della proprietà è stata al tempo stesso il potente mezzo per de-proletarizzare il corpo sociale e la contromossa attraverso la quale i neoliberisti hanno accompagnato la progressiva distruzione di un’altra forma di proprietà incarnata dai sistemi di Welfare moderni (quella che Robert Castel chiamava “proprietà sociale”).
L’espressione “padrone di se stesso” che si è sentita più volte nei decenni scorsi per elogiare la possibilità di ciascuno di lavorare a casa propria e quindi in un apparente stato di libertà e addirittura in ambienti famigliari, cela in realtà un chiasmo che dovrebbe risultare evidente: padrone di se stesso non significa socializzazione dei mezzi di produzione ma auto sfruttamento mascherato da tutte le forme giuridiche criminali inventate in questi anni: dai Cococo, alla partite Iva, che nascondono il lavoro salariato, fino alla gig economy. Continua De Nicola citando Prunetti:
Finanziarizzazione, autonomizzazione del lavoro e indebitamento, sono indissociabili dalla moltiplicazione del paradigma proprietario. Ora, con la recessione economica questo modello entra in crisi per una parte significativa di popolazione: il capitale accumulato perde di valore e gli investimenti falliscono. Più che una “perversa” lotta per la sopravvivenza, gli enunciati microfascisti sono l’espressione di un delirio proprietario che trasforma relazioni sociali e i beni in “oggetti” privati da preservare e difendere (le “nostre donne”, i “nostri figli”, il “nostro territorio”…). Le moltiplicazione delle ”identità” non è altro che l’espressione culturale di un regime di proprietà. Questa particolare angolazione, permette di dire qualcosa di diverso sulla composizione sociale del post-fascismo: nonostante questo interessi molti gruppi sociali, il suo protagonista – quello che ne forgia gli enunciati – non è affatto l’”escluso” o il “penultimo”, ma quella che Alberto Prunetti ha efficacemente chiamato Lumpen-borghesia, ovvero quel ceto arricchitosi a partire dagli anni Ottanta e Novanta nel capitalismo “molecolare” e rimasto escluso dalla nuova accumulazione di ricchezza seguita alla crisi del 2007. In Italia, il ruolo della Lega, con le trasformazioni interne al suo discorso politico e sociale, è da questo punto di vista esemplificativo. Sempre da questa angolazione, si dovrebbe quindi vedere il crescente consenso che l’ordine del discorso reazionario riscontra sui gruppi sociali più poveri ed esclusi dalla politica di diffusione della proprietà, come l’effetto di un assemblaggio sociale, o se si preferisce dirla in termini gramsciani, come la formazione di un “blocco storico” specifico. Presto o tardi, vedremo tutta l’instabilità di questo consenso, laddove i discorsi che vengono ora testati sulla popolazione migrante, saranno estesi anche alla plebe autoctona… La questione riguarda solo lateralmente un fenomeno politico come Salvini. Il problema primario riguarda il posizionamento dei soggetti di tradizione liberale e socialdemocratica. Bisogna poter dire che una parte significativa dell’élite dirigente e dei maggiori gruppi editoriali del nostro paese è disposta ad accettare dosi misurate e controllate di “guerra civile” pur di recuperare la “crisi di legittimità” a cui è esposta. Questa disponibilità è molto più di una affannosa rincorsa verso un presunto “senso comune popolare”, né un mero calcolo di natura elettoralistica: è la possibilità di riordinare i rapporti sociali attraverso una linea di forza generale.
Concludo questa parte con una nuova citazione, sempre da Prunetti-De Nicola, per poi dedicarmi alla seconda parte dell’intervento di Lea Melandri. :
La percezione diffusa di accerchiamento che ci si ritrova a vivere in questi ultimi mesi non deriva affatto dalla pervasività di questa tendenza (Il ciclo reazionario ndr.), ma dalla mancanza di forme discorsive e modelli antropologici adeguati a quella parte della società che resiste alla torsione reazionaria. L’immaginazione politica dovrebbe ripartire da qui, da nuove forme di appropriazione comune capaci di rompere la paranoia proprietaria. Se il fascismo è il rovescio della soppressione sistematica delle alternative di vita, non ci sono “fronti” popolari, democratici o costituzionali che reggano, né l’antifascismo militante potrà da solo invertire la rotta: c’è il bisogno di reinventare dei movimenti di massa in grado di politicizzare la vita. Le attuali ondate del movimento femminista e dei movimenti dei migranti ci dicono che sono già in corso lotte a livello globale contro questa santa alleanza tra neoliberalismo, nazionalismo e autoritarismo. Nella stessa misura con cui il ciclo politico reazionario tenderà a radicalizzarsi, le linee di frattura si approfondiranno. Siamo ora spinti a pensare che questi siano gli unici movimenti sulla scena, dobbiamo invece pensare che sono solo i primi: altri ne verranno. Prepariamoci. Prepariamoli.
Nella seconda parte del suo intervento Melandri cita una serie di lotte, provenienti tutte dalla Francia, il luogo certamente più avanzato della sovversione sociale oggi in Europa.
Riferendosi a Nuit Debout e ai movimenti che si sono via via succeduti nel tempo, Lorène Lavocat su Reporterre-net il 6 aprile 2017 scriveva:
“Il movimento non è fallito, ho visto fiorire collettivi e iniziative, alcune commissioni nate in quella piazza (come quella di Educazione popolare) continuano a incontrarsi.”
Si tratta di un movimento che si pone come “convergenza” di pratiche diverse “senza che si verifichi una fusione o unità”.
David Graeber in un articolo comparso su “Effimera” 20 aprile 2017 scriveva a sua volta:
“…spazi prefigurativi, zone di sperimentazione democratica (…) parte di una civilizzazione insorgente, planetaria per portata e ambizione, nata da una lunga convergenza di esperimenti simili realizzati in ogni parte del pianeta (…) con contributi essenziali del femminismo, dell’anarchismo, disobbedienza civile non violenta.”
I movimenti che raccolgono le esigenze radicali di ogni passaggio storico e tentano di darvi una risposta con azioni creative dal basso, sono la testimonianza viva, appassionata che “un altro mondo è possibile”. Ma sono anche la realtà sociale e politica che le istituzioni, dalla scuola ai partiti, sindacati, parlamenti, volutamente ignorano o reprimono con la violenza.
A queste esperienze se ne possono accostare altre: in Germania le associazioni impegnate nella solidarietà attiva hanno pratiche comuni e le scorse settimane si sono mobilitate portando in piazza 50.000 a Monaco di Baviera contro il ministero degli interni Seehofer. Infine, sempre per tornare alla Francia e all’Italia, ci sono i collettivi transalpini che aiutano i migranti ad attraversare le frontiere. Le lotte cui si riferisce Melandri sono di certo le sole strade praticabili di un’opposizione sociale che sia non solo uno strumento di lotta ma anche di ricostruzione di socialità, come è stato per esempio nell’esperienza forse più importante degli ultimi anni e cioè la Comune di Notres dames des landes, vicino a Nantes, sgomberata due mesi fa dopo circa dieci anni di attività.
Nell’indicare tale strada come la sola praticabile, tuttavia, ci sono ulteriori riflessioni da fare, assai problematiche. Tutti gli episodi di violenza e intimidazione di cui ho scritto in precedenza dimostrano ampiamente che il ciclo reazionario non ha come primo obiettivo quello di combattere opposizioni parlamentari ininfluenti, visto che lo svuotamento dei principi costituzionali antifascisti, per esempio, è già avvenuto passo dopo passo da anni, sia perché è nel sociale che molte delle energie politiche che avevano dato vita ai movimenti degli anni ’70 si sono trasferite. L’azione repressiva mira in primo luogo a colpire tutte le forme di resistenza nel sociale - come scrive anche Melandri nell’ultima frase del suo intervento - e persino semplici pratiche di buon vicinato, delegando spesso a soggetti informali sub criminali di riversare sui quartieri e le città quote controllate di guerra civile come afferma il collettivo Luogo Comune. Nella zona dove abito, per esempio, un murale fatto da bambini sulle pareti di un mercato coperto, sotto l’egida di normali associazioni di quartiere, è stato vandalizzato perché quella piazza doveva rimanere una sorta di porto franco per attività quali lo spaccio di droga e altro. La reazione del quartiere c’è stata naturalmente e il murale è tornato al suo posto, ma questo esempio indica una direzione di marcia. Da questo piccolo episodio andiamo allora a quelli più grandi.
L’attacco alle ong, in quanto più esposte e in prima linea, rispetto alla questione nevralgica dell’immigrazione, ha un significato ben più ampio e confermato da altri episodi di intimidazione già ricordati e più recenti ad opera di soggetti securitari che operano nell’ombra dentro la società civile, cui si sono affiancati comportamenti istituzionali repressivi e intimidatori orientati in una sola direzione:
- Lo sgombero del centro sociale Ri-make ad Affori.
- La denuncia di nove militanti del centro sociale Askatasuna di Torino.
- La chiusura della casa delle donne di Roma e gli ostacoli di ogni tipo posti ai centri anti violenza in generale.
- La denuncia di tre donne a Roma perché socialmente pericolose: avevano cantato Bella ciao in faccia agli energumeni di Forza Nuova o casa Pound.
- Lo sgombero del centro sociale Lambretta a Milano.
Sono tutti esempio di quel disallineamento fra stato, mercato e pezzi di società civile criminal-securitaria che andrà prima di tutto a colpire pezzi di società civile virtuosa e autogestita o lotte radicali che in Italia esistono come in Francia, ma che ma di cui si sottovaluta l’importanza per il semplice fatto che – a differenza dalla Francia dove soggetti diversi collaborano senza fondersi – in Italia né collaborano né si fondono. Le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici e della logistica, gli scioperi del personale di Amazon a Piacenza, le lotte dei lavoratori della gig economy a Milano hanno trovato poca solidarietà non solo dai sindacati (cosa scontata) ma anche da parte di altri soggetti: non vorrei che dietro certi atteggiamenti ci sia la rimozione della lotta di classe e del confitto in generale, pensando inconsciamente o meno che forme di auto organizzazione della società civile possano convivere con la balcanizzazione della società civile medesima. Se così sarà, l’esperienza di questi ultimi mesi dimostra che le realtà di resistenza nel sociale saranno spazzate via una per una come le foglie di carciofo.
Radicalità e flessibilità
L’ipotesi formulata dal collettivo Luogo comune trova ampi riscontri nella realtà attuale non solo italiana ed europea ma indica anche la sola strada di resistenza possibile nella capacità di far scaturire anche una diversa proposta politica (necessaria) da pezzi di società civile autogestita, movimenti e lotte operaie e dei lavoratori precari che non trovano più alvei istituzionali di rappresentanza. Si tratta di un’ipotesi di lungo periodo che potrà svilupparsi se non rimuoverà il conflitto, ma sarà anche capace di coniugare radicalità di contenuti e flessibilità nel rapportarsi ai cambiamenti. Cito ancora due concetti chiave espressi dal collettivo Luogo comune, ma che per me sono presenti anche negli esempi di lotte fatte da Melandri.
Nella stessa misura con cui il ciclo politico reazionario tenderà a radicalizzarsi, le linee di frattura si approfondiranno. Siamo ora spinti a pensare che questi siano gli unici movimenti sulla scena (si riferiscono all’ondata dei movimenti femministi nel mondo e a quelli dei migranti ndr), dobbiamo invece pensare che sono solo i primi: altri ne verranno. Prepariamoci. Prepariamoli.
Il disallineamento fra mercato, stato e società civile è destinato a essere uno degli aspetti di questa radicalizzazione e creerà crepe anche nelle istituzioni, specialmente in quelle locali: i segnali ci sono già tutti. Esso favorirà anche lo scollamento fra improvvisate aggregazioni elettorali e governative, come quella italiana, che saranno per forza di cose deluse nelle loro aspettative demagogiche, dando vita a conflitti interni alle compagini e non solo in Italia: si pensi al recente conflitto interno alla CDU tedesca. L’opposizione sociale riuscirà a crescere se saprà coniugare radicalità di contenuti, innovazione nel proporre una vita democratica interna che sia la prefigurazione di una società decente, con la flessibilità di sapersi infilare nelle contraddizioni e nelle crepe che si apriranno sempre di più nei traballanti assetti di potere anche perché le politiche di Trump, seppure ondivaghe, hanno innescato comunque uno scontro inter imperialistico dagli esiti imprevedibili, ma che moltiplicherà proprio quelle linee di frattura indicate dal collettivo luogo comune. Gli esempi ci sono già e pure abbastanza vistosi nello stesso contesto italiano. Fra governo e alcune realtà locali anche istituzionali, per esempio, si stanno aprendo contraddizioni evidenti e ne sono un esempio, il documento comune firmato dai sindaci e di cui qui sotto riporto gli estremi. La società civile virtuosa sta reagendo anche in Italia e non solo in Francia, come negli esempi indicati qui di seguito:
Franco Romanò ha condiviso un link.
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