sabato 27 aprile 2024

FASCISMO E SOCIETA' ITALIANA. RECENSIONE DEL SAGGIO 'L'ITALIA DI MUSSOLINI' DI R. BOSWORTH. PILI G-G. , SCUOLA FILOSOFICA, 4.05.2017

 In più, la dittatura fascista (al pari di tante altre) era profondamente corrotta: i tirapiedi di Mussolini avevano il muso in tutte le mangiatoie. Se è vero che le élite di governo sono sempre avide, è anche vero che alcune lo sono più di altre. Sotto il fascismo prosperavano i rapporti clientelari, e quella forma di referenza nota come “raccomandazione” costituiva una componente ineludibile della vita sociale. Come tattica per farsi strada nella vita, Roberto Farinacci, fascista per antonomasia, prototipo del ras rude e coriaceo, non indicava una qualche professione di fede ideologica, ma una ben comune panacea: “io non dimentico mai gli amici”.

Richard J. B. Bosworth



TEORIE POLITICHE. IL PENSIERO RADICALE. PANNELLA M., Per una prefazione al libro di un rivoluzionario, 1973

 Carissimo Andrea, mi chiedi una “prefazione” a questo tuo libro Underground: A pugno chiuso. […] Cosa vuoi da me? Pensi davvero che il mio nome sia divenuto merce buona per il mercato di chi compra-legge, o di chi vuoi o vorresti chiamare alla lettura con questo libro? No: ne ho la prova, so che sai che non è così. Tu non leggi i miei “scritti”, le migliaia di volantini ciclostilati, di comunicati-stampa, di foglietti del Partito radicale, che sono le sole cose ch’io abbia mai prodotto, in genere scrivendole in mezz’ora, per urgenze militanti, nella bolgia di via XXIV Maggio ieri, in quella di via di Torre Argentina 18, oggi.



LA MORTE DELLA PATRIA NEL 1943. GALLI DELLA LOGGIA E., La morte delle patrie: così entrò in crisi lo Stato-nazione, CORRIERE DELLA SERA, 2010

 «Morte della patria l’8 settembre? Ma quando mai! Solo dirlo è una bestemmia, un insulto gratuito al nostro popolo e alla Resistenza che, viceversa, proprio dall'8 settembre prese l'avvio riscattando l'onore del Paese; è certo: l'amor di patria non uscì mai dal cuore degli italiani». Queste parole (più o meno) e queste obiezioni me le sono sentite ripetere alcune migliaia di volte da quando per primo (se mi è lecito accampare questo dubbio merito) nel 1993 mi capitò di ripescare l'espressione fatale da un vecchio libro di Salvatore Satta, «De profundis», e di adoperarla come titolo di una relazione ad un convegno di storia, poi pubblicata l'anno successivo negli atti. 



Come si capisce, a mia volta ho provato anch'io a ribattere alcune altre migliaia di volte. A spiegare cioè che un conto è il generico sentimento patriottico e un conto è la costruzione storico-ideologica di patria come operante matrice di valori collettivi; che la disfatta militare non era stata solo la disfatta del regime fascista ma anche di tale idea di patria risalente all'Unità; che la Resistenza, per le sue stesse caratteristiche ideologico-politiche, non aveva potuto fare nulla per rimetterla in piedi. Niente da fare. Sicché alla fine mi sono arreso avendo finalmente capito, peraltro, il vero punto chiave: vale a dire che stracciarsi le vesti contro la sola idea di «morte della patria» e contro il suo uso storiografico serve, in realtà, ad accreditare una versione del passato in vari modi politicamente utile nel presente. Utile per esempio ad accreditare retrospettivamente alla sinistra una supposta devozione agli interessi nazionali in realtà all'epoca per molti aspetti più che dubbia; ovvero, per dirne un'altra, serve a cancellare il non cale in cui ieri fu tenuta ogni resistenza che non fosse quella sotto l'egida dei partiti rispetto, invece, all'esaltazione che si fa oggi della Resistenza dei militari, della Resistenza dei civili, di quella della «zona grigia», insomma di qualunque «altra Resistenza».

FASCISMO ANTIFASCISMO CRISI DELLA DEMOCRAZIA. LE TAPPE DEL REVISIONISMO E DELLA DEFASCISTIZZAZIONE. FIORI S., Il pericolo di una regressione democratica, LA REPUBBLICA, 27.04.2024

 

La destra postfascista si rifiuta di riconoscere l’antifascismo non soltanto per fedeltà alla propria radice politica, ma anche perché sulla Resistenza si fonda il modello di Repubblica che i nostri governanti vogliono cambiare

Non c’è solo una ragione identitaria nell’espulsione della parola “antifascismo” dal vocabolario della presidente del Consiglio. Così come non sono gaffes estemporanee le sortite del presidente del Senato sul mito fondativo della Carta. La destra postfascista si rifiuta di riconoscere l’antifascismo non soltanto perché resta fedele alla propria radice politica, ma anche perché sulla Resistenza si fonda la Repubblica democratica che i nostri governanti vogliono cambiare. È sulle fondamenta che lavorano come tarli i propugnatori di una “democrazia decidente”, gli aspiranti rifondatori dello Stato italiano determinati a ridisegnare l’architettura progettata dai padri costituenti.



giovedì 25 aprile 2024

ANNIVERSARI 25 APRILE 1945. PROSPERO M., Perché si festeggia il 25 aprile, la festa della Liberazione in un Paese diventato illiberale, L'UNITA', 25.04.2024

 Sconfortante, come termometro dei rapporti di forza misurabili in questo 25 aprile, è la supplica reiterata rivolta al governo perché conceda una professione di fede in senso antifascista per sciogliere così in radice la questione dei rigurgiti di autoritarismo divampati nelle democrazie occidentali.

Basterebbe, per disarmare il chiacchiericcio sulla carenza di legittimazione della Fiamma, che i ragazzi di Colle Oppio al potere ricordassero la lezione aurea dei missini, maestri nella passerella con il doppio petto, e quindi decidessero di indossare le maschere adeguate per “sembrare” – senza “essere” – antifascisti.


S. Canettieri, La culla della destra romana, Il Messaggero, 14.02.2019


Esiste anche una "Fondazione Almirante" (da DI MARTEDI', 23.04.24)