lunedì 17 agosto 2015

IL CASO RENZI E LA DEGENERAZIONE DELLA POLITICA. L. SAPPINO,"A Renzi interessa solo la gestione del potere La minoranza dem lo lasci: serve una sinistra". Intervista con M. PROSPERO, L'ESPRESSO, 14 agosto 2015

ichele Prospero - un tempo editorialista del giornale del Pd - non legge più l’Unità: «È ormai un quotidiano apocrifo», dice. Il professore, filosofo, è un tipico gufo, non lo nega («Per Hegel è una figura positiva», rivendica), e di Renzi pensa malissimo: «Il renzismo è un fenomeno politico della degenerazione del sistema democratico».



All’Espresso, Prospero spiega il filo che lega la Bolognina di Occhetto, all’antipolitica e a Renzi, il tema del suo saggio, “Il nuovismo realizzato”. E se il premier oggi dice che quella della società civile «è una retorica insopportabile»: «Lo fa solo strumentalmente», per Prospero, «per giustificare le nomine nel Cda della Rai».

È convinto che non si andrà ad elezioni anticipate, Prospero, e che la storiella del Renzi 1 e Renzi 2 non funziona: «I due sono in realtà la stessa cosa. Anche il Renzi rottamatore era interno al conservatorismo». Le riforme portate a compimento? «Sono solo quelle fatte in accordo con la destra, come l’abolizione dell’articolo 18. Quelle che non piacciono ad Alfano arrancano».

Ha molto in comune Matteo Renzi, per Prospero, con Tony Blair che si scaglia contro il candidato di sinistra alle primarie dei Labour, il sessantenne Corbyn: «La prima cosa che fece Blair arrivato al governo», racconta Prospero, «fu prevedere una sala specifica al partito per gli incontri con i grandi contributori».


I toni che usa Blair contro Corbyn poi ricordano la violenza dello scontro interno ai democratici nostrani, fatto di sfottò e veri e propri insulti. Per Prospero è la conferma che «l’operazione politica del Pd è fallita» e che la minoranza bersaniana farebbe meglio a andarsene e a partecipare alla costruzione di un soggetto a sinistra: «Sarebbe un elemento di chiarificazione».

Lei è tipico “gufo”. Nel 2012 disse che la rottamazione era un’idea fascistoide, oggi è impietoso con il “Nuovismo realizzato” edito da Bordeaux edizioni.
«Io noto che il renzismo è un fenomeno politico della degenerazione del sistema democratico. Ne è anzi il suo compimento, l’epilogo di una vicenda che ha destrutturato il sistema e i meccanismi parlamentari e decostruito il sistema dei partiti».

Nostalgia? Perché quel modello dovrebbe esser più funzionale dei partiti leggeri, delle primarie del Pd, delle parlamentarie dei 5 stelle?
«Molte delle cose che sono oggi auspicate dai 5 stelle appartengono anche alla cultura politica dei comunisti negli anni 70, che fondava sulla partecipazione l’idea stessa della transizione al socialismo. Nella promozione della democrazia diretta, c’è il richiamo di una cultura democratico-radicale di sinistra».

Ma?
«Ma non è vero che i soggetti organizzati impedivano alla democrazia di funzionare: rappresentanza, mediazione e partecipazione diretta non sono uno in alternativa all’altro, ma sono momenti che devi combinare. Le primarie, invece, ripercorrono un’idea opposta: i partiti non hanno più una specificità. E se alle primarie di un partito di sinistra possono partecipare anche elettori di destra, ecco che è inevitabile l’arrivo al partito della Nazione».

l titolo completo del suo ultimo saggio è “Il nuovismo realizzato. L'antipolitica dalla Bolognina alla Leopolda”. Cosa unisce la svolta di Occhetto - che credo comunque non gradisca la lettura - a Matteo Renzi?
«L’ostilità alla forma partito, la pretesa di costruire delle carovane indefinite».

Con le dovute proporzioni, immagino.
«Con l’idea di un percorso. La seconda Repubblica è nata con la polemica contro - si diceva - “la nomenclatura partitocratica”, e muore nel 2013 con “l’anticasta”. Non è un caso. Tanto nella Bolognina quanto nella rottamazione di Renzi c’è l’istanza di ripudiare la mediazione politica, in nome di entità metafisiche, dei “cittadini”, della “società civile”».

Della società civile oggi Renzi dice: «È una retorica insopportabile». Nel maggio 2012 però diceva: «Un partito che funziona dà spazio al protagonismo sia degli amministratori periferici sia della società civile». A lei che ha scritto “Il libro nero della società civile” (Editori Internazionali Riuniti) l’evoluzione dovrebbe piacere.
«Il problema è che Renzi quello che dice oggi lo dice strumentalmente, per difendere le scelte fatte nell’eleggere il Cda della Rai. Ma tutta la sua ideologia è fondata sull’ostilità alla funzione politica in quanto tale. Come giustifica Renzi le stesse riforme costituzionali? Dice “è la più grande riforma che manda a casa i professionisti della politica”».

Si è detto che quello era il Renzi 1 e che oggi c’è un Renzi 2, capace di rivendicare le nomine Rai.
«I due sono la stessa cosa. Anche il Renzi rottamatore era interno al conservatorismo. Renzi, prima e dopo palazzo Chigi, è interessato alla sola gestione del potere».

Però vanta un buon numero di riforme portate a compimento: la riforma del mercato del lavoro, la legge elettorale, la scuola...
«Leggi che ha fatto con l’avallo della destra, come sul mercato del lavoro, dove ha ricalcato la posizione che era di Maurizio Sacconi. Sulle riforme dell’era Renzi c’è sempre la stessa matrice. Su quelle più progressiste, sui diritti civili, ad esempio, che incontrano la contrarietà di Alfano, si arranca. Quello di Renzi è un governo moderato e conservatore che spaccia le sue politiche per buonsenso. È un governo nato nel mito della freschezza e del giovanilismo, nel mito - alimentato e condiviso dal presidente Napolitano - del «governo senza retroterra», di ministri cioè che non godono di un’azione di supporto di partiti. Questo mito nasconde la reale geografia del potere. Chi pesa di più rispetto ai ministri senza retroterra? Da una parte le grandi burocrazie, che hanno più potere del ministro incompetente, e dall’altra l’imprenditoria, che è entrata direttamente al governo, con le cooperative di Poletti, e le industrie di Guidi».

Non è così diverso, in questo, dal governo Letta che aveva invece una coalizione più larga, con Berlusconi organico.
«L’unica differenza tra il governo Renzi e il governo Letta è che entrambi hanno un rapporto con i poteri forti, ma con Letta prevaleva la Banca d’Italia e la finanza mitteleuropea mentre con Renzi a prevalere è la componente Squinzi. La coalizione di Letta era più vicina alla Bce, ma meno ostile al sindacato. Renzi, mantenendo il rapporto con Angela Merkel, è più orientato verso l’impresa medio-piccola nostrana, interessata soprattutto a colpire quanto rimane del potere sindacale».

Senta, Tony Blair ha scritto ai compagni del Labour: «Se Jeremy Corbyn diventa segretario sarà la fine. La posta in gioco è se il Labour resterà un partito di governo oppure no». Corbyn, 66 anni, è il candidato di sinistra alle primarie socialiste. Blair nella sua lettera elogia i sindacati che collaborano con il governo. Il Pd sta completando l'evoluzione già impressa ai Labour da Blair?
«Il Pd la sta completando in maniera anche più radicale. E se Blair non era certo un rottamatore, ma un politico esperto con 15 anni di parlamento alle spalle, ci sono molte similitudini tra i due. La prima cosa che fece Blair arrivato al governo fu prevedere una sala specifica al partito per gli incontri con i grandi contributori. Renzi organizza le cene. E se i Labour sono in crisi è proprio per l’impostazione data da Blair. La sconfitta in Scozia, l’espansione del partito ecologista e persino l’avanzata della destra populista dimostrano che i Labour non sono più in grado di intercettare l’elettorato tradizionalmente di sinistra. Se pensiamo al voto in Emilia Romagna, in Italia si sta verificando la stessa cosa».

Blair usa per Corbyn parole durissime che ricordano lo scontro interno al Pd. Che senso hanno partiti dove convivono anime così distanti, con insulti quotidiani?
«Non hanno alcun senso. L’operazione politica del Pd è fallita. Il Pd non esiste, è una sigla elettorale a cui nel territorio corrisponde una molteplicità infinita di varianti, tra micronotabili e amministratori».

La minoranza dem dovrebbe andare alla scissione?
«Sarebbe un elemento di chiarificazione. E sarebbe anche un elemento di efficenza della proposta politica. La strada è quella abbozzata in Liguria, alle ultime regionali. Senza più una sinistra credibile, di governo, è evidente che la disillusione indurrà a vedere l’unica alternativa nei 5 stelle. Non a caso Grillo cerca di mettere insieme sensibilità di sinistra - con le proposte sull’ambiente - a sensibilità di destra - con i post e le posizioni sui migranti. La funzione storica della sinistra rimane anche se non la si vuole più nominare. La prima Repubblica aveva a sinistra Berlinguer e De Martino, e al centro Zaccagnini e Moro. Che ora il massimo esponente della sinistra sia Renzi e che il centro sia Alfano la dice lunga su quanto la Seconda Repubblica sia stata caratterizzata da un costante scivolamento verso destra del quadro politico».

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