giovedì 13 agosto 2020

BREVE CRONACA DEGLI ANNI DELLE PASSIONI TRISTI. 9. POPULISMO E CULTURA DI MASSA. A. BERARDINELLI, Si fa troppo presto a dire “popolo”, AVVENIRE, 13 dicembre 2019

Bisogna fidarsi del popolo? Dipende dal popolo, dalle cose che vuole e da come le vuole. Ma che cos'è oggi il popolo? L'uso e l'abuso del termine “populismo” come concetto negativo, denigratorio e spesso insultante, creano un certo disagio perché fanno pensare al grande libro Il populismo russo (1952) di Franco Venturi, un classico su questo tema, insieme ai vari saggi dedicati da Isaiah Berlin agli intellettuali liberali, socialisti e anarchici dell'Ottocento in Russia. 



Il popolo di oggi, se è lecito chiamarlo ancora così dopo un secolo di sociologia delle classi sociali, è stratificato, mescolato, culturalmente modificato da quella “mutazione antropologica” di cui parlò Pasolini negli ultimi anni della sua vita dopo aver letto qualche pagina dell'Uomo a una dimensione di Marcuse. La classe media aveva colonizzato la classe operaia o proletaria grazie a una cultura di massa o “industria culturale” che unificava la mentalità della maggioranza al di là o al di qua delle condizioni economiche e sociali. Il popolo attuale è nel mondo in vario modo un prodotto della pubblicità, della televisione, dei social media, dell'uso totalizzante e intensivo dei dispositivi informatici. Quando si parla di popolo, oggi si parla di un'entità generica come la “stragrande maggioranza” numerica della popolazione così come è stata creata dall'economia attuale, dalle sue crisi e dal suo sviluppo, ma anche dai consumi comunicativi e culturali quotidiani. Gli intellettuali che nel corso degli ultimi decenni hanno continuato a difendere o a esaltare la cultura di massa in espansione come veicolo sicuro di democrazia e di progresso civile, ora si scandalizzano chissà perché quando vedono che la cultura di massa è entrata senza mediazioni in politica: l'ha invasa, se ne è impadronita. Tipi come Berlusconi, Trump, Salvini, sono icone trapiantate dalla cultura di massa alla cultura più ristretta del ceto politico. Finché i partiti funzionavano da filtro mediatore e selettivo fra società e politica, i politici potevano anche essere populisti ma non somigliavano al “popolo”. Ora si può passare dalla soap opera, o serial, o show televisivo, al parlamento e al governo. La massificazione sta eliminando o riducendo a ghetto quella che era la cultura come ambito separato e straniante dal cui punto di vista giudicare la società. Oggi gli intellettuali laici che credono nel progresso come sviluppo contano sempre meno, sono criticamente disarmati. Sembra proprio che il più sicuro antidoto alla cultura come merce e spettacolo oggi siano le religioni, purché non fanatiche.

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