l centrosinistra, se vuol tornare a vincere le prossime elezioni politiche, dovrebbe prenderne atto: le alleanze e i contenuti sono cruciali, ma non bastano. Serve, anche o soprattutto, rivalutare il profilo della coalizione alternativa alle destre e in particolare del Pd. Questo profilo oggi si può definire, in forza dei tratti che vuole far emergere, come massimalista e progressista. Si tratta di attributi che danno il senso della forte attesa di cambiamento ma che rischiano, se non bilanciati, di essere inefficaci.
Non c’è dubbio che una certa radicalità nelle proposte vada perseguita. Su molti obiettivi occorre avere presente il risultato cui tendere, ma anche adottare un intelligente approccio gradualista. I cambiamenti vanno accompagnati, pena il rigetto. Se sono troppi, chi deve sopportarli proverà a opporsi trovando rappresentanza nelle destre, le quali promettono protezione dalle fatiche della novità. Bisogna accompagnare le persone, le famiglie e le comunità nell’inevitabile percorso a tappe.
Il gradualismo
Il gradualismo in politica ha una lunga storia collegata a varie visioni liberali, socialdemocratiche, popolari. Persino alcune teorie anarchiche davano spazio all’idea di un “gradualismo rivoluzionario”.
Qualche esempio può chiarire. La transizione verso l’auto elettrica ha indicato un termine oltre il quale non potranno essere più vendute auto endotermiche. Questa decisione, coerente con l’obiettivo di contenimento del riscaldamento globale, sta portando tuttavia a un diffuso rigetto, anche per l’assenza di una politica gradualista. I sindaci dei Comuni delle aree interne oggi devono già autotassarsi per tenere ancora aperto un distributore di benzina. Non ci sono poi grandi interessi da parte delle società elettriche a collocare in aree marginali le colonnine di ricarica.
Così, mentre le destre alimentano il rifiuto verso la transizione energetica, i partiti di opposizione non sembrano considerare le fatiche di chi viaggia per lavoro con una vecchia utilitaria e non può comprarsi un’auto elettrica, perché costa uno sproposito o non ci sono fonti di ricarica vicine. Un altro esempio è l’opportunità di un approccio non massimalista, cioè non ideologico, sulla costruzione della difesa comune europea; o sui percorsi per ottenere la cittadinanza italiana.
Un certo progressismo rischia di snobbare le tradizioni, quasi a considerarle residui di un passato da superare. L’equivoco di fondo sta nel confonderle con il tradizionalismo, che si connota per l’autoritarismo, il maschilismo, il nazionalismo, l’uso strumentale dei simboli religiosi, il familismo amorale e ogni altro atteggiamento o orientamento più o meno sottilmente tutelato dai conservatori.
Altra cosa sono invece i luoghi, i tempi e i modi con cui le persone nascono e crescono, danno continuità a una storia, maturano la personalità e il senso di appartenenza. Ricordare le nostre origini, favorire la natalità e la genitorialità, tutelare il valore anche civile del sacro e delle religioni, coltivare il senso patriottico, apprezzare la stabilità dei legami affettivi, proteggere i genitori anziani: questi e altri sentimenti e pratiche di vita, che possiamo chiamare buone tradizioni, contribuiscono al bene comune. Simone Weil ci ricordava, al proposito, che «in qualsiasi innovazione politica (...) bisogna anzitutto mettere in programma provvedimenti che consentano agli essere umani di riavere radici».
Tanto più che le povertà non sono solo materiali. Si è poveri anche quando non si può contare su reti familiari o comunitarie che garantiscano protezione e convivialità; quando si perdono le tradizioni, i riti, le storie del popolo di cui si è fatto parte, recidendo così i legami col passato; quando si è incapaci di riconoscere la fragilità del genere umano. Le tradizioni – se interpretate in chiave di fraternità e non come esercizio di potere – sono invece decisive nel combattere queste povertà e nell’evitare derive individualistiche.
In conclusione, le massime e progressive sorti di cui farsi interpreti dovrebbero considerare i tempi necessari per raggiungerle e non dovrebbero logorare il già sottile filo della continuità tra passato, presente e futuro, bensì garantire coesistenza tra tradizione e avanzamento. Insomma, per non essere velleitari serve modificare il profilo massimalista e progressista, valorizzando il gradualismo (nel metodo) e le buone tradizioni (nel merito), fino a considerarli tratti salienti.
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