La tesi. Massimalismo e progressismo: i rischi di certe proposte oltranziste
La tesi di Lepri è la seguente: nell'attuale fase di riconfigurazione ideologica del PD, la segreteria in carica sta premendo l'acceleratore in direzione di politiche troppo ispirate a principi massimalisti e progressisti.
Lepri fa 3 esempi: le politiche ambientaliste, troppo sbilanciate a favore di un repentino passaggio all'elettrico; le politiche militari e quelle civili (abbassare il numero di anni richiesti per ottenere la cittadinanza, oggetto di uno dei quesiti referendari dell'8 giugno, bocciato dalla maggioranza degli elettori).
Quale il rischio di muoversi in questa direzione? “Un certo progressismo rischia di snobbare le tradizioni, quasi a considerarle residui di un passato da superare”.
Su questa strada la competizione con i partiti di destra risulta chiaramente perdente: se le richieste di cambiamento sono troppe “chi deve sopportarle proverà ad opporsi trovando rappresentanza nelle destre, le quali promettono protezione dalle fatiche della novità “.
Da cui la proposta gradualista di Lepri: “persone, famiglie e comunità vanno accompagnate nell'inevitabile percorso a tappe” verso l'avanzamento.
Dopo aver ricordato che il gradualismo ha una storia rispettabile (accettato perfino dagli indisciplinati anarchici), Lepri introduce la seconda questione: la differenza fra tradizione e tradizionalismo.
Se il tradizionalismo appartiene alle visioni del mondo proprie dei conservatori e delle destre (per i quali autoritarismo, maschilismo, nazionalismo, uso strumentale dei simboli religiosi, familismo amorale sono principi e valori da difendere), la tradizione, anzi, le “buone tradizioni contribuiscono al bene comune”.
Le buone tradizioni da difendere
In cosa consisterebbe, allora, salvaguardare e rilanciare una visione del mondo fatta di buone tradizioni?
Apprezzare e difendere il senso di appartenenza, “ricordare le nostre origini, favorire la natalità e la genitorialita’, tutelare il valore anche civile del sacro e delle religioni, coltivare il senso patriottico, apprezzare la stabilità dei legami affettivi, proteggere i genitori anziani”. In breve, ecco gli esempi elencati da Lepri che conclude indicando la strategia da seguire: “ non logorare il già sottile filo della continuità fra passato, presente e futuro, bensì garantire coesistenza fra tradizione e avanzamento”.
Massimalisti e progressisti in cosa?
La cosa singolare di questo articolo è che, quando si parte con l'avvertimento di aver scelto una strategia politica troppo rischiosa in nome del massimalismo e del progressismo, ci si aspetterebbe di trovare come esempi di questa strategia velleitaria, esempi tratti dalle pratiche comportamentali e dagli atteggiamenti relativi agli stili di vita e ai cosiddetti diritti individuali che tanto hanno caratterizzato la discussione in questi anni, sia all'interno delle varie anime della sinistra, sia nel confronto-scontro fra destra e sinistra.
Invece troviamo, devo dire a sorpresa, esempi tratti dalle politiche ambientaliste (di cui l'elettrico è solo uno dei temi) e da quelle militari e migratorie.
La reticenza sul wokismo
Poi, però, quando si tratta di descrivere quale sarebbe la strategia gradualista da seguire, più adeguata ai ritmi di apprendimento di persone, famiglie e comunità, ecco comparire contro esempi non legati a quegli ambiti (ecologia, difesa e migrazioni), ma costitutivi del mondo delle buone tradizioni, ossia di quel mondo psico-sociale severamente in declino da decenni, oscurato da valori e credenze ultra-libertarie e individualistiche che dagli Usa si sono diffusi a macchia d'olio grazie ai processi innescati dalla globalizzazione.
Rivediamo l'elenco di ciò che dovrebbe essere salvato: genitorialita’, natalità, legami affettivi, patriottismo, protezione degli anziani e del sacro.
Tutto quello che rende sostanzialmente ricchi perché “le povertà non sono solo materiali” e con il quale ci si può difendere dalle “derive individualistiche”.
Ma allora perché non prendere il toro dalle corna fin da subito, preferendo girargli intorno, alludendo e non affrontando direttamente il fardello di questioni imbarazzanti imbarcate in questi decenni, in attesa ancora di un congresso che chiarisce definitivamente errori e responsabili, allontanando chi non possa continuare a nuocere?
Assenza totale di autocritica
Che una sinistra libertaria e radicaleggiante rischiasse di non essere più capita e seguita mentre sembrava tutta occupata a trafficare con categorie e teorie come “politically correct”, “gender theory”, “decostruzionismo”, “studi post-coloniali” (il termine che sento circolare più spesso è quello di decostruzione che è anche quello, se ben compreso, più minaccioso se venisse compreso dai più) era facilmente immaginabile.
Manca nell'articolo, alla fine, la richiesta di un'autocritica sulle scelte ideologiche fatte in questo quarantennio, con particolar riguardo per le politiche economiche e del lavoro prodotte fin dalla fine degli anni Novanta (questo nonostante, negli anni, in maniera personale e informale, molti esponenti di questo partito abbiano preso le distanze dalla “terza via” di Blair ancor prima che essa fosse sostenuta e difesa da Renzi. Ma un congresso serio che faccia il punto su tutti questi errori e sullo scimmiottamento post-89 dei laburisti blairiani e dei democratici americani dobbiamo ancora vederlo).
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