Secondo i dati resi noti dalla Cei, infatti, i bambini e ragazzi che non la frequentano sono sempre di più: una percentuale meno che raddoppiata, in effetti, al 12,2% del totale nello scorso anno scolastico rispetto al 6,6% del 1998/1999. Può non sembrare un gran che, ma si tratta di centinaia di migliaia di studenti in meno – certo non un numero da poco.
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La Cei usa però un modo un po’ particolare per dividere le aree geografiche del paese, e per “nord” intende Piemonte, Lombardia, Triveneto, Liguria e Emilia-Romagna. Al centro risultano incluse Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise e Sardegna, mentre del sud fanno parte Campania, Puglia, Calabria, Basilicata e Sicilia.
La tendenza a non frequentare l’ora di religione sembra anche crescere in qualche misura con l’età. È alle scuole elementari che un tempo i non frequentanti erano più rari, e ancora oggi va così. Ma le differenze restano ancora lievi, rispetto a chi frequenta la scuola per l’infanzia o persino le medie, mentre una grande divario spunta fuori quando si arriva alle scuole superiori. Lì il gruppo di ragazzi che frequenta l’ora di religione si restringe molto, e a fare una scelta di altro tipo è poco più del 18% degli studenti.
D’altra parte quella è la stessa età in cui, più in generale, anche il rapporto dei ragazzi con la religione cambia più in fretta: e se da bambini si tende più spesso ad andare in chiesa, per esempio, per i teenager le cose cambiano parecchio. Poi restano comunque i genitori a prendere la decisione di far frequentare o meno i propri figli, e questo ci dice senz’altro qualcosa sulla generazioni di padri e madri quarantenni di oggi.
Come sottolinea uno dei rapporti che accompagnano questi dati, nel caso delle informazioni più vecchie è forse necessaria un po’ più di prudenza nel trarre conclusioni – questo perché la copertura delle statistiche raccolte non è sempre completa su tutto il territorio nazionale. Non ha molto senso guardare a numeri che aumentano o diminuiscono di qualche decimale, dunque, e che possono essere dovuti a piccoli errori in un senso o nell’altro. Eppure tutto sommato la tendenza resta inequivocabile, e parla di un calo – a volte più rapido, a volte più lento – ma comunque a tutti i livelli.
Grosse differenze esistono fra le stesse scuole superiori. Al contrario che per altri aspetti, qui le cose sono cambiate rispetto al passato in un almeno un caso interessante, e cioè quello dei licei. In passato queste scuole erano tutto sommato nella media, fra le superiori, per quantità di ragazzi che non frequentano l’ora di religione. Sedici anni dopo, al contrario, diventano gli istituti con gli studenti più “devoti”. Come in tutte le altre scuole, anche nei licei la fetta di non frequentanti è cresciuta nel tempo, ma l’ha fatto molto meno che negli istituti tecnici o professionali. E proprio in questi ultimi troviamo il gruppo più ampio di ragazzi per cui l’ora settimanale di religione viene spesa in maniera diversa.
Su questo aspetto resta però un punto interrogativo, perché non tutte le diocesi partecipano alla raccolta di informazioni dettagliate sul tipo di scuola superiore, e questo potrebbe spostare i risultati in un verso piuttosto che in un altro.
Al di là dei singolo dato, su tutto aleggia la domanda da un milione di dollari: perché? Fra le spiegazioni possibili, di certo c’è il fatto che la società italiana tutto sommato si sta secolarizzando. Già le indagini dell’Istat mostrano che il numero di italiani che non si reca mai in un luogo di cultocresce da anni – in particolare fra i giovani. Man mano che queste persone crescono e cominciano a fare figli, non c’è forse troppo da sorprendersi se sempre più spesso l’insegnamento della religione cattolica passa in secondo piano.
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C’è poi un’altra ragione che potrebbe giustificare almeno le enormi differenze fra nord e sud. Certo il primo appare già di per sé meno religioso – rispetto al meridione ospita una fetta molto più ampia di persone che con la religione non hanno rapporti particolari. Ma a contare è forse anche la maggiore presenza di stranieri, più di rado cattolici rispetto a chi ha origini italiane. Gli immigrati, poi, tendono anche ad avere più figli rispetto agli italiani, tanto che proprio al nord nel 2014 tre nati su dieci hanno almeno un genitore straniero.
Come che sia, se le cose dovessero proseguire in questo modo anche in futuro – e non c’è segno del contrario – potrebbe essere il caso di ripensare questo pezzetto di istruzione italiana: così da non escludere o offrire soltanto soluzioni di ripiego agli ormai tanti che compiono una scelta diversa.
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