La sfida fra i due principali candidati, la democratica Hillary Clinton e il repubblicano Donald Trump, pur avendo estensione nazionale verrà decisa in una dozzina di Stati. Questi, per via del sistema elettorale statunitense (che non prevede l’elezione diretta del capo di Stato da parte del popolo ma la mediazione di 538 grandi elettori), risulteranno decisivi.
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Gli Stati decisivi per la corsa alla Casa Bianca nel 2016 sono: Ohio, Pennsylvania, Virginia, North Carolina, Florida, Georgia, Iowa, Arizona, Nevada, Colorado, Utah e Wisconsin.
Tra questi ci sono gli swing States, che storicamente oscillano fra un partito e l’altro, e i cosiddetti toss-up (letteralmente: lancio della monetina), nei quali i principali sondaggi danno il divario tra Clinton e Trump non superiore al 5%.
Nell’elenco e nella carta figurano anche Stati tradizionalmente democratici o repubblicani diventati oggetto di acuta competizione nel corso di questa campagna elettorale.
Emblematico il caso del Wisconsin, democratico dal 1988, su cui Clinton sta sparando le ultime cartucce in inserzioni pubblicitarie. O quello della Georgia, appannaggio del Grand Old Party dal 1996, dove però Trump fatica a conquistare gli indipendenti, rimettendo in gioco lo Stato sudista.
In ogni Stato sono presenti uno o più segmenti sociali la cui mobilitazione elettorale è decisiva ai fini dell’assegnazione dei grandi elettori. Un segmento sociale è cruciale se è spaccato al suo interno o se contravviene alla sua propensione storica per il voto, cioè va a votare in massa ribaltando il tradizionale astensionismo (o viceversa).
La definizione di questi gruppi non segue necessariamente linee etniche. Non basta il ceppo a determinare la natura di segmento decisivo: bisogna aggiungere considerazioni economiche, religiose e politiche.
È il caso dello Utah, dove, oltre al 13% di popolazione ispanica, le scarse simpatie raccolte da Trumppresso la foltissima comunità mormona rischiano di far perdere ai repubblicani uno Stato in cui vincono dal 1968.
Proprio la capacità di mobilitare gli ispanici a votare per Clinton sarà cruciale in Arizona e Florida (dove però conta anche la fedeltà dei bianchi suburbani), ma soprattutto in Colorado e Nevada.
Non in Texas. Qui i latinos sono oltre 10 milioni (di cui 4,8 aventi diritto al voto) e sono particolarmente preoccupati dal progetto di Trump di un muro anti-immigrati con il Messico, ma devono ancora superare la diffidenza verso le urne.
Sulla costa est e sui Grandi Laghi il discorso si fa più economico. Qui i bianchi rurali e quelli dei sobborghi appartenenti alla classe media o medio-bassa sono contesi fra i due candidati. Specialmente negli Stati industriali più colpiti dagli effetti della globalizzazione e i cui salari stagnano da decenni (Ohio, Pennsylvania, Wisconsin).
Più defilati gli afroamericani, la cui compattezza nel votare per i democratici li rende poco appetibili ai calcoli degli strateghi delle urne.
Non basta una copiosa comunità nera a rendere uno Stato conteso: è il caso del Mississippi, che ha il 38% della popolazione afroamericana ma è una roccaforte repubblicana.
Il segmento nero diventa importante qualora, in Stati più oscillanti, il candidato democratico di turno non riscuota grandi consensi e tenga lontana la gente dai seggi. Clinton pare rientrare, suo malgrado, in questa categoria.
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