Caro Direttore, mi piacerebbe sapere come mai l’attuale presidente del Consiglio e il suo governo si aspettano che tutta la categoria degli insegnanti, a cui appartengo, si esprima fiduciosa in occasione del voto sulla riforma della nostra Costituzione.
Consideriamo alcuni dati oggettivi: 1. Lo Stato è fuori regola con noi, non rinnovando un contratto fermo da quasi dieci anni. Noi abbiamo pazienza, ma intanto lavoriamo ogni giorno con tutta la nostra professionalità; 2. La nostra retribuzione è mantenuta a livelli che rasentano la vergogna (mentre per altre finalità si riescono a trovare inspiegabili risorse); 3. La cosiddetta «premialità docenti», alla prova dei fatti, è stata rivolta quasi principalmente agli organi di staff della dirigenza e ai suoi coadiutori. Così che chi si dedica al «solo» lavoro in classe vede più difficilmente riconoscimenti; 4. Per usufruire della «carta dei docenti», un fondo cui attingere per corsi di aggiornamento e acquisti per la didattica, è stata creata in questi giorni una procedura a dir poco avventurosa, con creazione di identità digitale eccetera, e da sbrigare in brevissimo tempo, pena la perdita di tale fondo. Siamo tutti in coda agli uffici postali e quant’altro per avere accesso almeno a questo piccolo «riconoscimento».
Detto questo, affermo con orgoglio che ogni mattina mi reco al lavoro con desiderio di fare del mio meglio per la crescita dei figli dei miei concittadini, non mi aspetto riconoscimenti particolari, tengo fede alla mia parte di «patto» benché dall’altra parte, quella di chi mi ha assunto, ci siano silenzio e inadempienze illegali, se non vuote propagande. Senza impegni precisi da questa parte, non è possibile aspettarsi in alcun ambito un’apertura di credito e fiducia da parte dei professionisti della scuola, che pur lavorano generosamente.
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