sabato 6 dicembre 2025

TEORIE POLITICHE. CRAXI, PROUDHON, IL VANGELO SOCIALISTA NEL 1978. FRANCHI P., Ma Turati non era meglio di Proudhon?, L'UNITA', 2.12.2025

 Letto l’articolo di Duccio Trombadori, letta la (garbata) replica di Stefania Craxi, mi sono chiesto se davvero abbia senso ritornare oggi, nell’anno di Dio 2025, a discutere del “Vangelo socialista”, consegnato da Bettino Craxi all’Espresso sul finire dell’agosto 1978. E mi sono risposto che sì, un senso questa discussione lo ha, o quanto meno può averlo. A condizione che la si affronti col piede giusto. Cominciando con il prendere atto che quel saggetto, al di là delle intenzioni di Craxi, segnò ufficialmente l’inizio di una guerra civile a sinistra, destinata a concludersi, di lì a non moltissimo, con la comune rovina delle parti in lotta. 


Un redondo fracasso così devastante che in Italia a tutt’oggi la parola “socialismo” sembra suonare impronunciabile quasi come la parola “comunismo” o, quanto meno, non esiste un soggetto politico significativo disposto a pronunciarla. Un problema italiano? Neanche per idea. La presenza dei partiti socialisti e socialdemocratici in Europa si sta facendo fantasmatica quasi come da un pezzo lo è quella dei partiti comunisti o neo comunisti. Chi viceversa, e spero non sia solo il mio caso, si reputa tuttora un socialista (non un nostalgico del Psi: un socialista), e guarda allibito al dissolversi di una sinistra cosiddetta liberale, o peggio liberal, o peggio ancora radical, nella quale da materialista impenitente non si è mai riconosciuto, ha davanti a sé una scelta molto semplice. Può decidere, anche in ragione dell’età avanzata, di tacere per sempre. O, al contrario, di dare, anche se non richiesto, testimonianza. Come e dove può.

Per esempio sull’ Unità, che, seppure rapsodicamente, si prova a rintracciare un qualche filo tra passato e presente. E magari, sempre che alle intenzioni dichiarate segua qualcosa di concreto, pure su quella Rinascita che Goffredo Bettini vuole riportare all’onor del mondo. Inutile dire, credo, che non sono per il silenzio. Su Rinascita (quella fondata nel 1944 da Palmiro Togliatti, dove mi chiamò a lavorare nel 1975 un grande direttore, Alfredo Reichlin) toccò a Paolo Spriano scrivere, in polemica nello stesso tempo garbata e sprezzante, sulle fonti cui Craxi (ma sarebbe più giusto dire: Luciano Pellicani, il ghost writer del Vangelo socialista) aveva attinto, a me, seppure guardato a vista dal successore di Reichlin, Adalberto Minucci, come sospetto filo socialista, di commentare politicamente quel testo, in un articolo intitolato: “Dove va il Psi”. Lo ho appena riletto. E quasi cinquant’anni dopo, nella sostanza, mi sono condiviso. Stava iniziando l’ultimo, grande duello ideologico che si ricordi in Italia, ma io, presuntuosetto, scrivevo: “Il Vangelo socialista … non ha l’aria di un materiale per polemiche para ideologiche di fine estate … Si tratta di un primo assemblaggio di tutta una serie di tematiche e suggestioni circolate nell’azione socialista di questi mesi, legate alla formulazione di alcune scelte di fondo – collocazione nazionale e internazionale del partito, rapporti a sinistra, ricollocazione delle forme di collegamento con la società civile e dei modi di organizzazione interna – attorno a cui si sono aggregate forze dentro e fuori il Psi in funzione di un disegno strategico di qualche respiro”. E arrivavo alla conclusione che si stava delineando un partito “metà prussiano metà libertario”, in cui alla crescente concentrazione del potere interno corrispondeva una larga apertura alle forze che nella società non si riconoscevano né nel compromesso storico né nella politica di unità nazionale, e anzi apertamente li osteggiavano, da destra e da sinistra.

Bene, direte voi: ma, se il bersaglio della polemica erano Enrico Berlinguer e quello che Claudio Martelli definiva “il leninismo di pace” del Pci, che bisogno c’era di ripescare come alternativa al marxismo-leninismo un personaggio tutto sommato secondario come Proudhon, noto soprattutto perché Marx, nella Miseria della filosofia, aveva scritto che “in Francia ha il diritto di essere un cattivo economista perché passa per un buon filosofo tedesco, in Germania ha il diritto di essere un cattivo filosofo perché passa per un buon economista francese”? Qualche anno dopo (lavoravo a Panorama) chiesi un’intervista su Craxi a Giuseppe Saragat, che non me la concesse ma si intrattenne un po’ a chiacchierare con me. A lui, che Marx lo aveva letto in tedesco, non sarebbe mai passato per la testa, mi disse: ma Bettino, politicamente bravissimo, intellettualmente era un autodidatta, con le questioni di teoria si arrabattava come poteva. La risposta mi parve ingenerosa, appena un anno prima di dare alle stampe il suo Vangelo, Craxi aveva pronunciato alla Karl Marx Haus un discorso di tutt’altra fatta, e di ben altro spessore, sul Grande Vecchio di Treviri. “Il socialismo moderno può dirsi marxista, ma deve anche dirsi revisionista”, aveva sostenuto: “Il destino di tutti i grandi dell’umanità – Marx ed Engels lo sono stati in sommo grado – è quello di essere superati, non già imbalsamati e trasformati in feticci. Questo è l’unico modo di sviluppare criticamente quello che essi ci hanno insegnato”. Se proprio doveva scegliersi un maestro, avrebbe optato per Eduard Bernstein.

E allora? Qualcuno, non ricordo più chi, e me ne scuso, ha sostenuto, secondo me a ragione, che su quella scelta (mi perdoni Stefania: infelice) abbiano pesato assai da un lato il ghost writer, dall’altra il garibaldinismo di Bettino. Nel senso che i tanti testimoni a favore, tutti a diverso titolo “libertari”, che compaiono nel testo (Proudhon a fare da capofila, certo, ma pure, cito alla rinfusa, la Luxemburg e Rosselli, Russell e Martinet, Deutscher e Bobbio, Plechanov e Cohn-Bendit) sono farina del sacco di Pellicani. E che al garibaldino Craxi tutto questo, in ultima analisi, interessava poco. Berlinguer, in un’intervista a Eugenio Scalfari, aveva appena insistito sul leninismo (seppure critico) del suo partito, accusando i socialisti di alzare quotidianamente il tiro, nel tentativo di portare passo passo i comunisti verso una Canossa socialdemocratica, e a Berlinguer bisognava rispondere subito, senza andare troppo per il sottile, creando un caso politico – ideologico di prima grandezza.

Ha ragione, almeno in parte, Trombadori. Se invece di tirare in ballo i fantasmi di Proudhon e di Cohn-Bendit, che ben difficilmente avrebbero turbato il sonno dogmatico dei comunisti, Craxi avesse fatto riferimento a qualche protagonista della lunga storia del socialismo italiano (Filippo Turati su tutti) in nome di una nostra Bad Godesberg e di una ricomposizione unitaria del socialismo italiano medesimo, forse – forse – il duello a sinistra avrebbe potuto prendere un’altra piega, e la stessa proposta di “unità socialista”, avanzata qualche anno dopo, avrebbe avuto ben altro sapore. Ma il fatto è che a una ricomposizione unitaria, e insomma alla nascita di quel grande partito socialista e democratico che in Italia, caso pressoché unico in Europa, non c’è mai stato, all’epoca non pensavano né lui né tanto meno, caro Duccio, Enrico Berlinguer. E le conseguenze le paghiamo, con vistosi interessi, ancora oggi.

PS. “Craxi ha tagliato la barba al Profeta”, era il titolo dell’editoriale di Scalfari del 24 agosto 1978, dedicato al Vangelo socialista. Forse si trattò di una pura coincidenza, forse sul mento di Marx il fondatore di Repubblica era più informato di noi. Ma è molto probabile che nel marzo del 1877 il vecchio Profeta sia stato seppellito nel cimitero londinese di Highgate completamente rasato. Si era fatto sbarbare un anno prima, nel corso di una breve permanenza in Algeria, da un barbiere locale. Se così avesse voluto anche prendere le distanze dalla sua vita precedente, dando un segno fisico visibile alla sua celebre affermazione “je ne suis pas marxiste”, non è dato sapere. Così come non si sa se il suo critico implacabile Luciano Pellicani fosse a conoscenza di questo, chiamiamolo così, particolare. Mi piace pensare che Craxi, se ne fosse stato informato, ne avrebbe fatto cenno nel Vangelo.

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