elle ultime settimane oltre 500 immigrati e rifugiati nei Paesi Bassi sono stati multati per non avere superato il «test di integrazione civica», che comprende esami di lingua olandese e di conoscenza della società (come si fa a prendere un appuntamento in ospedale? Come si iscrivono i figli a scuola?). Le persone bocciate o che non si sono presentate in tempo ai test devono pagare fino a 1.250 euro, a seconda dei casi, e sono costrette a ripetere la prova se vogliono sperare di ottenere il permesso di soggiorno. Sembra ed è una regola sacrosanta.
Chi vuole vivere stabilmente in un Paese straniero, perché vi è costretto o perché spera di migliorare le sue condizioni, è bene che sia messo nelle condizioni di condurre una vita accettabile, che preveda un minimo di interazione con chi in quel Paese vive già da tempo. È un prerequisito che arriva prima ancora dell’annoso dilemma tra multiculturalismo anglosassone e assimilazione alla francese: si potrà scegliere poi se restare in forme diverse fedeli alle proprie radici e origini o se provare a fondersi nella società di accoglienza, ma se si vuole vivere in Olanda bisogna imparare l’olandese. Eppure, anche qui le cose si complicano. Il rischio è che i test vengano usati, a seconda dei funzionari chiamati ad applicarli, come strumenti per respingere più che per integrare. Dorine Manson, a capo della ong di aiuto ai rifugiati Vluchtelingenwerk, dice che a lungo le istruzioni per iscriversi ai corsi di olandese erano scritte solo in olandese. Poi è giunta una traduzione parziale in inglese, ma la privatizzazione del sistema lo ha trasformato in un incubo burocratico e i corsi di lingua sono molto costosi, anche se ogni iscritto può ottenere un prestito fino a 10 mila euro da rimborsare solo se non si supera l’esame. Nell’aprile dell’anno scorso avrebbero dovuto superare il test 53 mila persone, ci sono riusciti in seimila. Colpa forse in qualche caso della cattiva volontà: di chi arriva, o di chi accoglie.
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