«Con il voto abbiamo fatto la rivoluzione. Ora speriamo che non ci deludano». Pomigliano d’Arco, la città di Luigi Di Maio, è una roccaforte grillina. Qui il movimento ha raccolto quasi il 70% dei voti. «Percentuali bulgare», racconta Francesco, circa 50 anni, sindacalista Fiom, operaio, ex comunista, oggi grillino. Ecco, la rivoluzione del voto qui dove fino a dieci anni fa c’erano grandi fabbriche e una forte classe operaia, c’è stata. Ma ora che governo si aspetta? «Ok, dovranno fare accordi in Parlamento. Per me, che vengo da sinistra, e certo non cambio idea su Salvini, ben venga anche lui. Purchè si tenga fede al principio dei principi: nessuno resti solo».
A Pomigliano, la grande crisi morde come in tutto il Sud. Su quarantamila residenti, ci sono circa 5000 disoccupati e altri 5000 inoccupati (cioè persone che non hanno mai formalmente lavorato). Se si tolgono bambini e pensionati, fa spavento la percentuale di chi è in età da lavoro e brancola alla ricerca di una occupazione. Sulla città, annunciata lungo la strada da montagne di spazzatura dispersa, e case malcostruite, pesa una nube di disperazione. I grillini sono l’ultima spiaggia. E per toccare con mano tanta angoscia, occorre venire nella sagrestia della parrocchia di San Felice in Pincis, nel centro di Pomigliano. A cento metri abitano i genitori di Di Maio, lui stesso è buon amico di don Peppino, il parroco. In chiesa è una processione ininterrotta di chi viene a chiedere aiuto per le bollette, il cibo, le medicine, i libri di scuola. «È evidente - dice il sacerdote, che qualcuno etichetta come “grillino” - che in Parlamento dovranno fare compromessi. La parola non mi piace, ma bisogna prenderne atto. Fondamentale è che Luigi trovi la concordanza su proposte che diano risposta a questa nostra gente, non la difesa dei privilegi o delle solite lobby. La prima delle emergenze è la povertà. Serve il lavoro, serve la difesa dei diritti».
Mentre don Peppino parla, emergono brandelli di storie d’infinita disperazione. La signora Assunta, 55 anni circa, vedova da cinque, con un figlio di 19 anni che passa il suo tempo attaccato alla tv, chiede un sostegno per la bolletta del gas: «Certo - dice - che io e mio figlio abbiamo votato M5S. Alle promesse degli altri non ci credo più. Non so più che fare se non buttarmi dalla finestra. Speravo in un posto di bidella, ma siccome ho solo la quinta elementare non posso fare neanche la domanda».
Si finisce per parlare di politica anche sul corso. Salvini o non Salvini? Il signor Antonio, mani grandi da operaio, sbotta a ridere: «Ma a chi gli interessano le tasse?! Se paghi, vuol dire che sei già in regola. Io ora sono disoccupato. L’unica speranza è il reddito di cittadinanza». Anche lui ha votato grillino. «Ero comunista convinto. Ma è tutto finito. Come la mia fabbrica. Ora bisogna pensare al minimo del minimo».
In fondo è lo stesso discorso di don Peppino: «La linea da non varcare è la difesa degli ultimi». La parrocchia, assieme alla Fiom di Maurizio Landini, e a Libera di don Ciotti, qualche anno fa, dopo alcuni suicidi tra disoccupati, ha fondato un’associazione per sostenere i più vulnerabili, «Legami di solidarietà». I primi fondi li ha versati l’attore Toni Servillo, con uno spettacolo di beneficenza. Poi sono arrivati altri; anche una sottoscrizione tra operai «per i compagni in difficoltà». Gli ultimi soldi li ha versati un senatore di Sinistra italiana, Giovanni Barozzino, che qualche giorno fa è tornato a lavorare in fabbrica. «Ma vi pare normale - prorompe don Peppino - che ci pensiamo solo noi? Ci sono famiglie che la sera accendono le candele perché gli hanno tagliato l’energia elettrica». A proposito, i fondi sono finiti.
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