Non devono stupire più di tanto i nomi di personaggi italiani, legati alle guerre contro i turchi del Cinquecento, scritti sulle armi e nel «manifesto ideologico» degli attentatori che hanno fatto strage in una moschea della Nuova Zelanda: Marcantonio Bragadin, Sebastiano Venier, Marcantonio Colonna.
Per i fanatici la storia è una specie di grande emporio, dal quale estraggono vicende, eroi e martiri utili a confermare la loro visione del mondo, senza alcun riguardo per il contesto dell’epoca. Per chi si erge a prosecutore di una lotta eterna contro la minaccia islamica, tutto fa brodo: ogni episodio del passato che abbia visto contrapposte potenze musulmane e cristiane serve a procurarsi una legittimazione immaginaria per spargere sangue innocente.
Vediamo comunque chi sono i tre italiani citati, due militari e un doge veneziano, tutti protagonisti delle vicende connesse alla battaglia di Lepanto, che il 7 ottobre 1571 vide una flotta allestita da una coalizione di potenze cattoliche, la Lega Santa, sconfiggere le navi dell’Impero ottomano presso le isole Echinadi (o Curzolari) vicino alla costa occidentale della Grecia, sul Mar Jonio.
Al momento dello scontro però il primo dei personaggi citati era già morto. Marcantonio Bragadin, nato a Venezia nel 1523, comandava la guarnigione della fortezza di Famagosta, sull’isola di Cipro, che nell’estate del 1570 venne posta sotto assedio dai turchi, all’epoca potenza dominante nel Mediterraneo orientale e nei Balcani. Dopo una strenua resistenza, durata circa un anno, i difensori si arresero alle soverchianti forze ottomane. Sull’applicazione dei patti in base ai quali i veneziani avevano deposto le armi sorsero però dei contrasti e il comandante turco Lala Mustafà Pascià reagì con la massima ferocia: Bragadin venne mutilato e torturato. Gli fu promessa la libertà se si fosse convertito all’Islam, ma rifiutò e venne scorticato vivo il 17 agosto 1571.
Intanto però, proprio in seguito all’attacco ottomano contro Cipro, il Papa Pio V aveva promosso la Lega Santa, un’alleanza comprendente, oltre allo Stato pontificio, la Spagna, la Repubblica di Venezia e altre potenze minori (tra cui le Repubbliche di Genova e Lucca, i Ducati di Toscana, Savoia e Mantova). Lo scopo era bloccare l’espansionismo turco nel Mediterraneo. Venne armata una flotta possente al comando di don Giovanni d’Austria (figlio naturale del defunto imperatore Carlo V, quindi fratellastro del re di Spagna Filippo II), che scelse come luogotenente il secondo personaggio citato dagli attentatori, l’ammiraglio pontificio Marcantonio Colonna (1547-1578).
Le forze della Lega Santa non giunsero in tempo per soccorrere Famagosta, ma il 7 ottobre a Lepanto inflissero ai turchi una pesantissima disfatta, rimasta nella storia, anche per motivi propagandistici, come uno dei colpi più duri mai assestati dai cristiani alla maggiore potenza islamica dell’epoca. E quel giorno su una nave veneziana c’era anche l’anziano doge Sebastiano Venier, il terzo personaggio evocato dai terroristi. Nonostante l’età avanzata (era nato nel 1496), si racconta che abbia combattuto con estremo coraggio.
Inutile chiedersi che cosa c’entrino Bragadin, Colonna e Venier, tre valorosi guerrieri del XVI secolo, con chi ai giorni nostri miete vittime civili con la massima efferatezza. Forse però questa appropriazione paranoica dovrebbe suggerire a tutti di non esagerare con l’uso politico della storia.
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