sabato 12 ottobre 2019

MORTE DELLO SPAZIO PUBBLICO. M. FAGOTTO, 12 ottobre 2019


   Perché ci si stupisce, ci si scandalizza, si grida allo sfascio davanti all’abbandono dello spazio pubblico, di quella dimensione, cioè, fatta di servizi e strutture importanti (scuola, sanità, giustizia, trasporti, strade, infrastrutture, ecc.), ma anche di strutture apparentemente meno significative (quale un bagno pubblico, un parcheggio, le strisce pedonali) quando per decenni e ad una intensità via via sempre più crescente  si è costruita, glorificata, enfatizzata, predicata una ideologia che ha fatto della dimensione privata dell’esistenza l’unica dimensione per cui valesse vivere davvero?


   Se per decenni si sono santificate formule come “meno stato, più mercato”, “imprenditore di se stesso”, “capitale umano” oppure si sono usati epiteti ambigui come “furbetti del quartierino” per definire, in realtà, chi aveva commesso gravi crimini finanziari e fiscali, ci si può adesso sorprendere del fatto che, messi i propri piedi fuori dalla propria villetta super-accessoriata, magari costruita con proventi e mezzi illeciti, si rischi di sprofondare nella prima buca che si trova sulla strada (quando la strada ancora c’è)?
   Ma si rendono conto quanti gridano allo sfascio che sono gli stessi che, poi, istigati a farlo, si vorrebbero armare per difendere la villetta super-accessoriata e monitorata giorno e notte dall’assalto di chissà chi? Chi potrà mai assaltarli e derubarli se lo spazio pubblico non è più agibile oppure non c’è più? Se ognuno sarà costretto a non uscire più dalla propria villetta proprio perché il territorio, tutt’intorno, è sprofondato dopo l’ennesima alluvione od ondata di maltempo contro le quali non c’è protezione civile che tenga (in quanto anche essa, come istituzione pubblica, nel frattempo, se non ancora dissoltasi da sola, sarà stata neutralizzata e cancellata via)?
Che senso ha accorgersene di nuovo adesso che si sarebbe prestata attenzione più alle cose che alle persone? Il che vuol dire, più attenzione allo status sociale da acquisire e da esibire tramite, appunto, quella panoplia di ‘cose’ (invidiata alle altre classi sociali?) fatta di automobilone, arredamentoni, “ville e villotte” (Reichlin), abbigliamenti trendy e cianfrusaglie ipertecnologiche varie.

La condizione psico-sociale odierna: fine della politica del ‘compromesso socialdemocratico’, della democrazia sociale e della sfera pubblica

“40 anni di enfatica legittimazione delle disuguaglianze, intese come elemento costitutivo delle relazioni e delle identità sociali in una logica mercatistica” (C. Vercelli, Il popolo scomparso nella crisi democratica, Il manifesto, 14 giugno 2019). Altri effetti sono la fine della politica intesa come “esercizio inclusivo, ossia riconoscimento e inserimento di una pluralità di soggetti individuali e collettivi nella sfera pubblica”; fine della sfera pubblica che si è anche essa trasformata “poiché non è più il campo delle decisioni strategiche e neanche il luogo privilegiato di contrattazione e di realizzazione dei processi redistributivi”; fine della democrazia sociale, al tramonto, il che vuol dire fine del ‘compromesso socialdemocratico’ iniziato nel 1945, “un rapporto che metteva in relazione ricchezza prodotta, redistribuzione collettiva, responsabilità sociale delle imprese e coesione territoriale. Oggi, invece, misuriamo come quel sistema di equilibri, basati sull’integrazione nazionale delle classi lavoratrici, si sia interrotto, se non completamente esaurito. E’ la nozione stessa di lavoro ad essere sottoposta a continue transizioni; il lavoro non è più il paradigma sul quale misurare l’accesso alle risorse e la loro effettiva fruizione”.


Tutto questo a fronte di una concezione totalitaria dell’economia capitalistica, estrattivistica e predatoria,  intesa  come un complesso di attività volte allo sfruttamento della natura,  delle sue risorse e di altri esseri umani per poter soddisfare  bisogni e desideri esclusivamente  umani.  I quali vengono poi soddisfatti non in egual misura, ma secondo logiche regolate da rapporti di forza, di potere e di dominio spesso estremi.

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