Nella chiesa principale delle forze armate russe nel parco Patriot vicino a Mosca, che doveva essere inaugurata il prossimo 9 maggio in occasione del 75esimo anniversario della vittoria sovietica contro il nazismo, le pareti sono state decorate con mosaici di Vladimir Putin, del ministro della difesa Sergey Shoygu e del «padre dei popoli» sovietici Josif Stalin. Come riferito dal ministero della Difesa, il tempio è stato progettato in stile russo-bizantino e la sua altezza, insieme alla croce di 95 metri mentre l’area dei locali è di 1.976 metri quadrati.
Secondo il rettore della chiesa Klinsky, la rappresentazione sui muri delle chiese di eventi e personalità storiche è una tradizione tutta ortodossa. Che nel tempio delle forze armate ci possa essere un mosaico dedicato all’«unificazione senza sangue della Crimea» con immagini di Putin e Shoygu, così come in quello della «parata della vittoria» venga rappresentato Stalin, è considerato normale dal membro del Consiglio patriarcale per la cultura l’arciprete Leonid Kalinin: «Tale tradizione esiste quando sono rappresentate scene storiche di uno o un altro periodo storico» ha sostenuto l’alto prelato, anche se le immagini del presidente vicine a quelle di Koba (il primo pseudonimo di Stalin) hanno prodotto più di un malumore.
Ora Putin avrebbe chiesto in modo non ufficiale ai decoratori, al fine di non ingenerare equivoci, di eliminare la sua immagine dal tempio prima che possa essere mostrata al pubblico (anche se foto dell’iconografia sono già in circolazione sul web).
A denunciare «l’intromissione della politica nella sfera spirituale», Andrey Kuraev, un altro alto prelato da tempo agli onori delle cronache per le sue posizioni «liberali» e avverse al capo del Cremlino.
Il diacono, intervenendo alla radio Echo Moskvy Kuraev ha attaccato il patriarca Vladimir Kirill accusandolo di essere alla testa di una corrente “neo-stalinista”: «Per quanto ho capito – ha dichiarato Kuraev – Kirill ha fatto una scelta di ampio respiro: la sua reputazione agli occhi delle élite di potere, e per così dire, dei “patrioti professionisti”, è la spola cosa che gli importa. E agli occhi di questi, più Stalin c’è e meglio è!»
Le dichiarazioni di Kuraev giungono a soli 3 giorni da quando il diacono è stato sospeso indefinitamente dalle sue funzioni pastorali proprio dal patriarca in persona.
Il sacerdote è popolarissimo nel suo paese. Autore di moltissimi libri, non solo di argomenti teologici, tra cui un’interpretazione in chiave evangelica de Il Maestro e Margherita di Bulgakov, fece i suoi primi passi nel mondo del’intellighenzia nell’Urss brezneviana scrivendo saggi ateisti prima di convertirsi alla chiesa di Mosca ed entrare in seminario. Poi grazie alla sua profonda erudizione è diventato uno dei personaggi più influenti del paese.
Il suo primo strappo con il patriarcato è del 2012 quando clamorosamente si rifiuta di condannare l’azione delle Pussy Riot che improvvisarono un concerto punk in una chiesa di Mosca e per questo vennero condannate a vari anni di prigione. Da allora la sua distanza dal regime putiniano e da Kirill è diventata incolmabile.
Ha accusato i vertici della chiesa di proteggere “lobby di preti pedofili”, di intrattenere rapporti con il potere solo per ricevere lauti finanziamenti ed entrare in business poco leciti, di aver indebolito la formazione seminariale. Nel 2017 Kuraev ha anche condannato il Fsb per aver posto fuorilegge i Testimoni di Geova, una persecuzione che dura da 3 anni e ha portato alla condanna a molti anni di prigione di diversi seguaci di tale religione.
Tuttavia lo scontro tra Kirill e il diacono ribelle è solo la punta dell’iceberg di quanto da anni si sta muovendo dentro il mondo ortodosso di cui lo scisma con Costantinopoli è stato il passaggio più clamoroso. Esistono strati del clero intermedio e dei pope di provincia che non vedono di buon occhio la corruzione latente e la “putinizzazione” del patriarcato, i quali finiscono per trovare, paradossalmente, un alleato nell’insubordinato Kuraev. Il quale a sua volta recepisce le spinte fortissime che giungono dalla società civile, rendendo sempre più fragile e incerto le prospettive del “Putin forever”.
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