Paul Hudson, amministratore delegato della multinazionale farmaceutica Sanofi, all’agenzia Bloomberg ha dichiarato che le prime dosi di un eventuale vaccino contro il Covid-19 prodotto dalla Sanofi saranno riservate al mercato statunitense. La priorità dipende dai finanziamenti ricevuti dal governo Usa per le ricerche sul vaccino.
LA DICHIARAZIONE ha scatenato allarme e proteste, soprattutto a Parigi dove la Sanofi ha il suo quartier generale. «Il vaccino sia un bene comune globale, sottratto alle leggi del mercato», recita la nota dettata da Macron. Gli ha fatto eco il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa: «Nessuno dovrebbe essere rimandato indietro nella fila per il vaccino a causa del suo luogo di nascita o per il suo reddito».
In mattinata, il capo del ramo francese Olivier Bogillot si è affrettato a correggere il tiro. «Se Sanofi scopre un vaccino, sarà accessibile a tutti», ha detto. Ma ha anche rivelato la vera posta in gioco: gli Usa hanno accelerato le procedure di approvazione dei vaccini a favore di Sanofi. «L’Europa faccia la stessa cosa – ha proposto Bogillot – e poi ci vogliono anche investimenti. L’accordo con gli Usa contiene un finanziamento a nostro favore. Ci auguriamo che l’Europa faccia la stessa cosa».
L’obiettivo della multinazionale farmaceutica è dunque l’allentamento dei vincoli al fine di accelerare la commercializzazione del vaccino e un’iniezione di fondi pubblici. Lo sviluppo di un vaccino richiede in media dieci anni, perché prima di essere distribuito alla popolazione un vaccino deve superare test di efficacia e sicurezza stringenti, che possono durare molti anni. La posta in gioco è altissima: non appena un vaccino dimostrerà un’efficacia anche limitata scatterà la corsa all’accaparramento da parte dei governi, con un ricavato notevole.
Qualcosa di simile lo abbiamo già visto nel 2009 con il Tamiflu, un farmaco contro l’influenza suina ordinato in milioni di dosi anche in Italia nel timore della pandemia. Dopo l’emergenza, però, ricerche indipendenti rivelarono la scarsa efficacia del farmaco e l’enorme spreco di denaro pubblico a favore della produttrice Roche.
IL RISCHIO ESISTE anche nel caso del Covid-19. L’Unione Europea ha appena raccolto 7,4 miliardi di euro da donatori istituzionali e privati per un vaccino, di cui beneficeranno principalmente le aziende farmaceutiche. Inoltre l’azienda riceve già ingenti finanziamenti pubblici. «Lo stato francese versa ogni anno a Sanofi un credito di imposta compreso tra i 110 e i 130 milioni di euro», ha spiegato Thierry Bodin, rappresentante dei dipendenti della società francese del sindacato Cgt.
IL RAPPORTO PRIVILEGIATO tra Sanofi e Usa per lo sviluppo di un vaccino è nato ancora prima dell’emergenza Covid-19. Il 9 dicembre 2019, mentre a Wuhan apparivano le prime polmoniti sospette, Sanofi siglava un accordo con l’Autorità statunitense per la ricerca e lo sviluppo biomedico (Barda): in cambio di 226 milioni di dollari, Sanofi avrebbe potenziato la produzione di vaccini nell’impianto di Swiftwater, Pennsylvania. L’accordo intendeva rafforzare la capacità di risposta degli Stati uniti a un’eventuale pandemia influenzale e quelle risorse sono state ora convogliate contro il Covid-19, con una nuova intesa firmata il 18 febbraio tra Barda e Sanofi.
QUELLO STUDIATO nei laboratori della Sanofi è solo uno dei 90 vaccini in sperimentazione nel mondo. Ma non è un vaccino qualunque perché Sanofi è l’azienda leader al mondo nel settore, con una quota di mercato del 30%. Per sviluppare il vaccino contro il Covid-19 collaborerà con la Gsk, la seconda maggiore azienda del settore: insieme, Gsk e Sanofi controllano quasi il 60% del mercato dei vaccini. Sanofi ha molti altri interessi in gioco nella vicenda Covid-19. Produce per l’Europa il Plaquenil, cioè il farmaco a base di idrossiclorochina attualmente usato per rispondere al Covid.
L’ACCORDO sulla distribuzione prioritaria del futuro vaccini a favore del mercato statunitense non è comunque un’eccezione. Un caso analogo riguarda proprio l’Italia. Negli stabilimenti Irbm di Pomezia, infatti, anche grazie al sostegno della Regione Lazio, si produce il vaccino sperimentale anti-Covid sviluppato in collaborazione con l’università di Oxford. Il 24 marzo, il Miur e la regione Lazio hanno persino stanziato otto milioni di euro per sostenere la ricerca. «Vogliamo rendere disponibile e accessibile alla popolazione italiana e mondiale un vaccino contro il Covid-19», aveva dichiarato Nicola Zingaretti. Alla fine di aprile, però, l’università di Oxford si è accordata con la società farmaceutica AstraZeneca che lo distribuirà. Nel commentare l’accordo, l’amministratore delegato Pascal Soriot ha dichiarato alla rivista Fortune: «La priorità sarà rifornire il mercato inglese», al resto mondo ci si penserà dopo. Il vaccino prodotto a Pomezia potrebbe dunque volarsene altrove, portandosi via anche i finanziamenti pubblici italiani.
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