Rispetto al centrodestra (48 per cento in totale), sempre in base al sondaggio di Ipsos, gli attuali alleati di governo raggiungerebbero solo il 38. Il Pd, calcolando il 19,6 per cento di consensi rilevati da Ipsos, vedrebbe eletti 92 deputati; mentre il M5S, presupponendo il 18,9 per cento, avrebbe 86 seggi.
In base a questo quadro di consensi, insomma, applicando il Germanicum il centrodestra vincerebbe le elezioni senza problemi.
Il quadro sarebbe però stravolto se superassero la soglia del 3 per cento i quattro piccoli partiti più forti: Sinistra italiana-Leu (2,9 per cento), Europa Verde (2,9), Italia viva (2,5) e Azione (2,5). In questo caso, ad ognuna di queste formazioni verrebbero assegnati 12 deputati. E così il risultato finale, seppure per un pugno di voti, sarebbe ribaltato: 207 seggi (contando i quattro «piccoli» tutti con il centrosinistra formato da Pd più M5S, assieme a Svp) contro i 193 del centrodestra. Ma si tratta di uno scenario del tutto virtuale, perché sarebbe molto difficile che partiti come quello di Carlo Calenda possano stare in una coalizione con i Cinque Stelle.
Questo terzo scenario è, attualmente, quello più incerto e sul quale pesano più variabili. Ma l’ex premier, oggi leader di Italia viva — che dava quasi per scontato che avrebbe superato il 10 per cento dopo la scissione dal Pd — rilevato il tracollo dei consensi ha cambiato del tutto le carte in tavola. Renzi, fino a poche settimane fa, si diceva totalmente d’accordo con il Pd per approvare il Germanicum con sbarramento al 5 per cento. E ora, davanti alla concreta possibilità di rimanere fuori dal Parlamento, colui che per anni è stato paladino del maggioritario, contando sul pacchetto di voti decisivi (specie al Senato) vuole abbassare lo sbarramento al 3 per cento, mandando su tutte le furie gli alleati. Gli stessi che però, ironia della sorte, stando ai sondaggi di oggi, per farcela avrebbero bisogno proprio dell’ingresso dei «piccoli» in Parlamento.
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