L'ultima notte di febbraio incontro per caso il rapper Rostyslav in un locale vicino a Maidan: parliamo della situazione nel paese, della rivoluzione e dell'invasione russa della Crimea. Prima di salutarci gli chiedo dove è casa sua e mi risponde, "non sto in una casa; sto in una tenda a Maidan, con venti altri compagni. Venti altri bravi uomini".
Hanna passa le giornate a Maidan, aiuta quelli che hanno presidiato la piazza durante le settimane e i mesi dell'inverno ucraino. Io sono vicino a un banchetto presso la cappella ospitata sotto una tenda da campo: la gente si ferma, accende una candela, dice una preghiera silenziosa per i cento e oltre morti (la "centuria celeste") assassinati dai cecchini e dai picchiatori di Yanukovich. Donne distribuiscono collanine in plastica bianca: sono rosari ("inviati da un prete Italiano", mi dicono), e per loro sono una cosa nuova. Hanna mi recupera mentre chiedo indicazioni su una strada dove voglio andare, sente che parlo inglese e sono straniero e si offre di indicarmi lei la direzione. Camminiamo fra tende, stufe da campo, e tutta la geografia della piccola città nella città che è Maidan. Le chiedo che cosa fa lei là, "sono una volontaria, mi occupo di Job Placement", e mi spiega che nelle settimane di protesta molti dei lavoratori che hanno presidiato Maidan resistendo al freddo e alle forze di sicurezza hanno perso il lavoro; lei cerca di risolvere il loro problema raccogliendo i profili di chi è senza lavoro e portandoli ad agenzie per l'occupazione.
Maria è una attivista per i diritti umani. Siamo lei io e cinquecento altre persone di fronte all'ambasciata russa, la sera del primo marzo, a protestare contro l'invasione russa della Crimea, appena avvenuta. Nelle ore precedenti Putin ha ottenuto dal Parlamento russo l'autorizzazione ad invadere l'Ucraina - e la gente sa che a ogni ora che passa le truppe russe potrebbero giungere a Kiev: basterebbe che occupassero lo scalo di Boryspil, l'aeroporto civile di Kiev, con un'azione a sorpresa come già successo in Crimea (e poi forse l'esercito ucraino nemmeno troverebbe la forza di agire). Ci sono persone che tengono cartelli con scritto "russi vi amiamo", "non fate la guerra coi vostri fratelli", "Putin via!". Ci sono un gruppo di lituani avvolti nella loro bandiera. L'ambasciata è buia, intorno al suo perimetro non sono poliziotti quelli che assicurano che nessun incidente avvenga: sono volontari dell'autodifesa di Maidan (di poliziotti nemmeno l'ombra).
Chiedo a Maria cosa significa difendere i diritti umani in Ucraina e mi risponde che vuol dire lottare per la creazione in Ucraina di uno stato di diritto: un sogno, perché in Ucraina gli individui non hanno alcuna protezione (nemmeno in sede di giustizia) nei confronti degli arbitrii della casta post-sovietica di oligarchi che dominano la politica e gli affari in Ucraina. Seconda domanda: "ma secondo te ci sono nazisti a Maidan?". Seconda risposta: prima non capisce che cosa ho chiesto, poi quando capisce si mette a ridere.
Oleg è un ragazzo dell'autodifesa di Maidan, sta in un gruppo insieme ad altri cinque giovani, è notte fonda e si tengono svegli bevendo tè e caffè (l'alcool è vietato a Maidan: vietato perdere lucidità). Sono le sentinelle che fanno il turno di notte a guardia della piazza. Sono contenti di poter parlare con uno straniero dato che a Maidan hanno vissuto le settimane di scontri e la violenza della polizia sentendosi totalmente ignorati dall'occidente.
Ma ora la minaccia non è più la polizia di Yanukovich: è lo spettro di una invasione russa del paese. "Io sono sempre stato contrario all'ingresso dell'Ucraina nella Ue e nella Nato - mi dice Oleg - ma da ieri ho cambiato idea". "Ieri" è il giorno in cui la Russia oltre che influente vicino è tornata ad essere potenza imperiale con mire sull'Ucraina. "Dovevo andare in Italia a Novembre", mi dice, saputa la mia nazionalità: "per turismo?", chiedo - "no, per una riunione di Wikipedia".
Volodja è un ragazzo di 18 anni, lo incontro di fronte a un edificio occupato usato dai volontari come centro medico. Quando gli dico che è difficile spiegare in Italia quello che sta succedendo mi risponde, senza alcun dubbio, che "una volta che gli italiani sapranno in che stato di povertà il popolo sia stato ridotto dagli oligarchi capiranno che si tratta di 'una rivoluzione contro la mafia' ".
Aamir è uno studente, vive a Kiev ma è armeno. Come Sergei Nigoyan, il primo martire di Maidan, ucciso il 22 febbraio. È un militante anarchico e ce l'ha con Pravy Sektor ("Settore Destro"): dice che al momento del bisogno, loro, sulle barricate non c'erano.
Anna è una attivista di Maidan e mamma. Non ha molto tempo per parlare con me: deve andare a fare - anche lei - servizio volontario: essendo psicoterapeuta, assiste le famiglie di coloro che hanno perso i loro cari sotto gli attacchi dei Berkut, a Maidan.
Olga non ha presidiato la piazza di Maidan e non è una volontaria, passa le giornate al lavoro; ha partecipato alle manifestazioni oceaniche di fine novembre contro Yanukovich, ma dopo, quando la violenza del governo è iniziata, quando i manifestanti si sono organizzati per occupare la piazza e quando Maidan è diventata una specie di zona di guerra, quando si sono tirate su barricate costruite con sacchi di neve accatastati gli uni sugli altri, non c'è più andata. Mi dice che le fa male vedere "la sua Maidan" così: a me che l'ho conosciuta solo in questo inverno e "così" non riesce di immaginare che in estate sia il luogo dove i giovani di Kiev vanno a passeggiare e ad ascoltare concerti. Qualche tempo prima le avevo chiesto cosa ne pensasse della gente di Maidan: "Io sono contro Yanukovich - mi aveva risposto - ma loro cosa credono, pensano che da un giorno all'altro Yanukovich se ne andrà come in una bella favola?"
E la favola fu vera, per qualche giorno almeno; ma non fu gratis e venne pagata con la morte di molti, che ha senso chiamare "martiri" perché molti di loro sapevano che andavano incontro alla morte e scelsero comunque di non piegarsi alla repressione, di non abbandonare Maidan e restare fino alla fine.
Come in una favola, il 22 di febbraio 2014 il presidente Yanukovich era scomparso: si seppe poi che aveva abbandonato l'Ucraina e si era rifugiato a Mosca. Non ci fu tempo per piangere i morti, per riposare: il 27 febbraio (era un anno fa) alle 4.20 del mattino forze speciali russe in una covert operation occuparono il parlamento della Crimea (il giorno dopo fu il turno dell'aeroporto di Sevastopol) dando avvio all'invasione russa dell'Ucraina.
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