Il russista Eliseo Bertolasi è stato nel cuore della rivolta per giorni. Fino all’arrivo di Julija Tymošenko il 22 febbraio. In questa intervista spiega tutto quello che i media italiani non dicono della sommossa ucraina
A Kiev, in piazza Maidan, le sorti della battaglia si sono giocate nella notte tra il 18 e il 19 febbraio. Il russista Eliseo Bertolasi era in quella piazza e ci è rimasto per 20 ore al giorno, fino a quando Julija Tymošenko, su una sedia a rotelle, è stata portata sul palco (era il 22 febbraio). Lo stesso palco da cui religiosi e laici, uniti, incitavano alla rivolta (come si vede e si sente dal video girato da Bertolasi che qui pubblichiamo).
Un'immagine forte, di quelle che scuotono o commuovono il mondo, quella della Tymošenko. Come le sue parole: «Siete eroi, siete il meglio che l'Ucraina possa avere. Non perderò nemmeno un minuto, farò di tutto per farvi felici sulla vostra terra!». Ma dietro le parole ci sono i fatti e quei fatti trascinano con sé altri fatti. E guardando con attenzione video e fotografie qualcosa, davvero, non torna.
Come scriveva Marcello Foa, che cosa abbiamo capito della crisi in Ucraina? Verosimilmente tutto e niente, nel frattempo la “sporca guerra asimmetrica” ha cambiato colore e le sfilate arancioni sono diventate nere marce militari. Abbiamo pertanto chiesto a Eliseo Bertolasi – che il 21 marzo prossimo, alle ore 20,30 ne discuterà presso il Circolo Arci di Brescia, via Risorgimento 18 - di aiutarci a capire. Quella che segue è una lunga conversazione. Richiede il suo tempo e forse fatica, ma tutto – scriveva Rilke – nella vita è difficile. E il più delle volte il difficile è anche necessario. Soprattutto quando le semplificazioni non solo non aiutano, ma possono far danni – forse irrimediabili.
Chi è: Eliseo Bertolasi russista, ricercatore associato e analista geopolitico all’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) di Roma, redattore della rivista Geopolitica, corrispondente dell’Agenzia “Golos Rossii (Voce della Russia) - Italia”. Cultore della materia in Antropologia culturale presso l’Università Statale di Milano Bicocca. Collaboratore culturale e socio dell’Associazione Italia-Russia sezione di Bergamo. Interessi di ricerca: Paesi ex-Urss, nazionalismi, questioni identitarie dei popoli slavi.
La prima domanda che vorrei porti è proprio sulle rivoluzione colorate e sul ruolo delle fondazioni americane nel favorire le cosiddette “eversioni democratiche”. L’idea, veicolata da Gene Sharp & co., è abbastanza semplice ma ha funzionato in Kosovo, in Egitto, un po’ meno altrove. Abbiamo avuto la “rivoluzione” in Serbia (5 ottobre 2000), Georgia (Rivoluzione delle Rose, 2003), Ucraina (Rivoluzione Arancione, 2004 – 2005) e Kirghizistan (Rivoluzione dei Tulipani, 2005). Perché non accade anche in Crimea? In fondo, la questione dei “diritti civili” non è tanto diversa…
È il solito sistema dei due pesi e delle due misure, come sempre il diritto all’autodeterminazione, ai “diritti civili”, viene riconosciuto, dall’Occidente, solo a quelle minoranze che attraverso la “rivoluzione” anziché premere alla trasformazione delle strutture sociali del Paese puntano invece a rovesciare fisicamente un gruppo di dominanti per sostituirli con altri, ma in questo caso più proni alle logiche dell’Occidente. Il copione è sempre lo stesso: esperti in “rivoluzioni colorate”, Ong varie dedite alla promozione dei “diritti umani” sul posto, lavorando sulle linee di tensione interne presenti nel Paese come il disagio sociale e la disoccupazione, iniziano a sollecitare le condizioni per una rivolta. Dagli eventuali disordini di piazza, che ne derivano, ecco che le forze governative vengono accusate di ogni violenza sui pacifici manifestanti; a breve, con tempismo perfetto, scatta la condanna della “comunità internazionale” con la richiesta di cambio di governo. A questo punto gli episodi di violenza da parte della Polizia si moltiplicano, le negoziazioni falliscono, o le si vogliono far fallire, mentre nel Paese i “manifestanti”, sempre descritti come “pacifici”, in nome del “politicamente corretto” godono dell’appoggio incondizionato dei media, dei politici occidentali e degli intellettuali progressisti. Con questa dinamica da “manuale” Gene Sharp, in Ucraina abbiamo assistito ad un reale colpo di stato: far nascere un nuovo governo ucraino in chiave antirussa, spodestando e neutralizzando un presidente democraticamente eletto. Agli abitanti della Crimea, però, questo “fervore rivoluzionario” non viene riconosciuto, nonostante abbiano preferito concretizzare il loro desiderio d’indipendenza attraverso il referendum piuttosto della rivolta armata. Torniamo nell’ottica dei due pesi e delle due misure, per chi è a favore dell’Occidente tutto è permesso. L’Occidente è sempre disposto a chiudere due occhi quando sono in gioco i propri interessi. Questa circostanza ci indica la strategia che c’è alle spalle di tutta questa vicenda: l’indebolimento della Russia; a tal proposito inviterei a riflettere sulle considerazioni di Brzezinski quando dice che senza l’Ucraina, la Russia non è altro che una grande potenza asiatica, ma non sarà mai una potenza mondiale.
I nostri media come li vedi? Attenti allo scenario geopolitico? Consapevoli oppure inconsapevoli distrattori rispetto a una questione che, anche al più ingenuo dei lettori, può apparire cruciale?
I media sono importantissimi, sono loro, infatti, che puntando i riflettori su una rivoluzione, o su un certo movimento di piazza, piuttosto che un altro, riescono ad attribuirgli, o meno, quella visibilità che diventa vitale per il proseguo e l’accettazione da parte dell’opinione pubblica della rivolta. Se tutti i media parlano in maniera intensa di una certa protesta, i manifestanti si sentono sempre più sostenuti e il potere si sente sempre più fragile fino alla sua capitolazione. Di solito il leader al potere attraverso un incalzante e micidiale processo di demonizzazione viene trasformato nel peggior dei dittatori. Riguardo all’evolversi della crisi ucraina, nel complesso, mi sembra ci sia stata molta disinformazione che, purtroppo, ha occultato la reale gravità della situazione. Tutto sta nel capire se i nostri media vogliano fare informazione o propaganda! Non è stato evidenziato che in Ucraina c’è stato un autentico colpo di stato, una presa del potere con la forza senza passare attraverso libere elezioni; certo si può parlare di “cambio di potere” ecc... ma questo non cambia la sostanza: colpo di stato è e rimane! Si continua a descrivere questa crisi senza voler mostrare le palesi responsabilità da parte di USA e Unione Europea, che, ricordo, con un’evidente ingerenza all’interno di un Paese sovrano, hanno ripetutamente inviato i loro politici a sostenere i manifestanti direttamente in Piazza. Immaginiamo il contrario: politici russi o cinesi.. in arrivo sulle nostre piazze per sostenere il diffuso malcontento che anima in questi anni i popoli europei! Impensabile! Eppure in Ucraina è successo! Come si continua a non evidenziare questa crisi sconvolgerà radicalmente gli equilibri relativi alla sicurezza del nostro continente. La nostra stampa, preferendo il solito mortifero mix di calciatori e veline o le eterne inconcludenti bagarre della politica nostrana, continua a non dare il dovuto risalto a questi eventi la cui eccezionalità ed importanza dovrebbe invece essere mostrata a tutti. È importante, quindi, che si arrivi a capire la differenza tra informazione e propaganda, e che ognuno, poi, liberamente si faccia la propria opinione.
In Crimea con una netta maggioranza hanno vinto coloro che non hanno mai smesso di sentirsi russi. Cosa ne pensi?
Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito dallo Statuto dell’ONU, non è mai stato abrogato. Tra le due opzioni del referendum: l'ingresso della Crimea come un soggetto della Federazione Russa, oppure il ripristino della Costituzione del 1992 e la conservazione della Crimea come parte integrante dell'Ucraina, il popolo della Crimea ha scelto la prima. Con un’altissima affluenza alle urne e con un consenso plebiscitario in un tripudio di bandiere russe, di cori d’esultanza e di gioia il popolo della Crimea, riappropriandosi del proprio destino, il 16 marzo 2014 ha fatto la sua scelta. Ora ha tutto il diritto di veder concretizzato questo suo decennale desiderio e di riabbracciare la propria amata patria a prescindere del disappunto del presidente degli Stati Uniti e dei leader europei allineati alle posizioni atlantiche. Ma anche qui ritorniamo alla logica dei due pesi e delle due misure. L’Europa che tanto si preoccupa dei diritti delle minoranze, dei gay, ecc… al punto di diventarne paladina, improvvisamente vuole negare questi diritti alle minoranze russe. Mosca, ora, accetterà l'esito della consultazione: «Zdravstvujte! Narod Kryma! dobro požalovat’ v Rossiju» (Salve Popolo della Crimea! Benvenuto in Russia).
Tu eri presente agli scontri di Kiev? La tua veste di analista geopolitico e di antropologo, si unisce allo sguardo, sempre più raro, del testimone…
Ero presente, ho seguito in prima persona gli eventi drammatici che in quei giorni hanno portato i manifestanti dalla Piazza al governo. I manifestanti hanno usato delle tecniche di guerriglia sofisticate: barricate, assalto ai ministeri, lancio di bombe molotov.. Tutto questo, ovviamente, per aumentare il caos che avrebbe poi portato alla caduta di Yanukovich. Se volevano una risoluzione pacifica della crisi, come ho accennato, l’accordo era già stato raggiunto. Ho soggiornato intere giornate in Maidan. Alcune migliaia di manifestanti, prevalentemente provenienti dalle regioni occidentali del Paese, vivono stabilmente in Piazza da dicembre dall’inizio della protesta. Sono state allestite tende, cucine da campo, infermerie, punti di ristoro... Il selciato della Piazza è stato totalmente divelto, i mattoni frantumati in piccole pietre che con dei lunghi passamano arrivavano fin sotto le barricate per poter essere poi lanciate contro le forze dell’ordine. Tutto appariva ben organizzato: i manifestanti, e quando parlo di manifestanti parlo sia dei miliziani in mimetica, casco e giubbotto antiproiettile con i visi rigorosamente coperti dai passamontagna, sia della gente comune che si recava in Maidan per appoggiare la rivolta, si muovevano ordinatamente senza nulla improvvisare, con una chiara ripartizione dei compiti. Supporre che tutta questa struttura, questa logistica, sia frutto di semplice autogestione mi sembra piuttosto difficile. È impossibile non intravvedere una regia o almeno un’organizzazione alle spalle, anche solo per finanziare tale impresa. Durante la battaglia notturna in Maidan la situazione si presentava surreale, se non per il fatto che in quella realtà mi trovavo completamente immerso: il buio della notte lacerato dal fuoco degli incendi, i potenti fari della polizia che puntavano sulla Piazza, i lampi e il rumore assordante delle granate antisommossa, le urla dei manifestanti, che da dietro le barricate lanciavano pietre e molotv contro la Polizia … e in sottofondo dagli altoparlanti del palco, le preghiere continuamente recitate dai preti. Il tutto creava una dimensione cupa, arcaica, surreale… basta vedere il mio video della battaglia per provare queste sensazioni.
Si! ho visto il tuo video: inquietante! In effetti si vedono dei preti ortodossi e dei laici presumibilmente cattolici che recitano le preghiere dal palco. Sul palco, scritte in cirillico indicano anche il nome di una radio cattolica molto nota. Chi sono?
Tra i manifestanti ricordo anche preti, soprattutto, della Chiesa uniata arrivati dalle regioni occidentali dell’Ucraina, oltre che preti della chiesa ortodossa autocefala ucraina. Con loro sul palco, la notte della battaglia in Maidan, c’era addirittura una delegazione di Radio Maria; innegabile il loro supporto alla rivolta, anche solo per il fatto di trovarsi in mezzo ai manifestanti. La Chiesa Uniata è un’emanazione della presenza polacca nella storia dell’Ucraina. Con l’adesione alla Controriforma i polacchi accentuarono il peso del cattolicesimo legandolo alla loro espansione politica. Per effetto di tale politica, le genti già cristiane ortodosse delle comunità slave all’interno dei confini polacchi, che a quel tempo includevano i territori dell’attuale Ucraina occidentale, furono cattolicizzate. Con il Concilio di Brest del 1596 venne decretata, infatti, la nascita delle Chiese uniate, che pur mantenendo, strutture, disciplina e liturgia della tradizione bizantina, riconoscono l’autorità giurisdizionale della Chiesa di Roma. Ancor oggi rappresentano una questiona spinosa che grava sui rapporti tra Santa Sede e il patriarcato di Mosca. Per Roma rappresentano una cattolicizzazione incompiuta delle genti slave. Per Mosca un’ingerenza vaticana finalizzata a portare sotto l’orbita cattolica genti già cristianizzate da secoli. Il diffuso sentimento antirusso, espressione della parte occidentale del Paese, è addirittura riuscito a minare la comunità cristiana-ortodossa ucraina: la chiesa ortodossa autocefala ucraina si sviluppa, in pratica, a partire dall’Ucraina indipendente, in contrasto col Patriarcato di Mosca, arrivando a riprodurre anche nella sfera religiosa lo scontro tra Mosca e Kiev.
L’Europa, negli scorsi anni, è stata quasi ostaggio della situazione, per via delle pipelines che dalla Russia passavano sul territorio ucraino. Ora lo scenario è cambiato? Ci spieghi il ruolo di South Stream e North Stream, quest’ultimo retto dall’ex Cancelliere tedesco Schroeder?
Il South Stream e il North Stream, per l’appunto, sono stati concepiti per eludere l’obbligatorio passaggio delle pipelines sul territorio dell’Ucraina, quindi, per assicurare un rifornimento energetico all’Europa occidentale a prescindere dagli umori e dai possibili disordini nei paesi di transito. Il North Stream è fondamentale per la Germania perché passando sotto il Mar Baltico la collega direttamente con la Russia. Non dobbiamo dimenticare le conseguenze delle due crisi del gas tra Ucraina e Russia, nel 2006 e nel 2009, quando Mosca accusò Kiev di sottrarre il gas destinato all’Europa, numerosi paesi europei furono duramente colpiti in tali occasioni. È assodato che dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico l’Europa dipende in gran parte della Russia, la quale fin dal 2011 si è affermata come primo esportatore energetico in Europa, battendo la concorrenza di Norvegia, Algeria e altri paesi arabi. Questo è il reale “tallone d’Achille” di Bruxelles quando minaccia di sanzioni la Russia. Putin può chiudere i rubinetti verso l’Europa e aprirli verso la Cina. L’Europa ha molto da perdere se continuerà questo duro braccio di ferro con Mosca. Come sostiene il Cremlino eventuali sanzioni contro la Russia si ritorcerebbero seriamente contro i Paesi che le vorranno applicare. Prendiamo ad esempio l’Italia. Nell’attuale difficile congiuntura economica e finanziaria internazionale, la prospettiva dell’internazionalizzazione appare, soprattutto per la piccola e media impresa, sempre di più una scelta obbligata, spesso un’ancora di salvezza per scongiurare la propria chiusura. Non a caso, molte aziende italiane già da qualche hanno individuato il mercato russo come l’ideale partner commerciale, portando l’Italia, fra i Paesi dell’UE, ad essere il secondo esportatore verso la Russia. Di pari passo anche numerosi prestigiosi gruppi italiani hanno realizzato e stanno realizzando notevoli investimenti in quel Paese: Enel, Eni, Finmeccanica, Indesit, Pirelli, UniCredit. Le esportazioni italiane verso la Russia, che i dati Istat indicano nell’ordine di 9,3 miliardi di euro, si confermano in continua crescita con un incremento, nel 2012, del 7,4% rispetto al 2011. Sanzioni contro Mosca, prima di far sentire il loro effetto sulla Russia condannerebbero a morte tante nostre aziende italiane in un quadro già abbondantemente provato di crisi economica e sociale.
Che cosa succederà ora? Vedi una via d’uscita?
Meglio non fare previsioni fino a che la situazione sarà così fluida. Dal soft power c’è il rischio che si possa presto passare al hard power. In un contesto così suscettibile è sufficiente anche la minima provocazione, per generare un’accelerazione a catena degli eventi. Il rischio di una possibile false flag è veramente altissimo. Se i manifestanti volevano risolvere la crisi avrebbero dovuto rispettare l’accordo firmato col presidente Yanukovich, che puntualmente è stato fatto saltare. Questa volta i russi hanno tracciato la loro “linea rossa”, e non permetteranno a nessuno di calpestarla, mi sembra che l’Occidente non abbiano ancora recepito questo dato, oppure volutamente lo sta trascurando. La Federazione russa fa parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai ed è una grande potenza militare. Stati Uniti e NATO continuano questo braccio di ferro con Mosca, dimenticando o ignorando il fatto che la Russia non è né la Libia, né l’Iraq, né tantomeno uno dei tanti paesi che hanno attaccato e occupato negli ultimi anni.
Il Consiglio della Federazione russa, ha da poco approvato all’unanimità una risoluzione di assoluta eccezionalità che permette a Putin di utilizzare le forze armate russe per proteggere la propria gente al di fuori dai propri confini in Ucraina. Auspico che il presidente Putin saprà essere all’altezza anche di questa crisi che rischia d’essere decisiva non solo per i destini di Russia e Ucraina, ma anche dell’intera umanità. Nelle prossime settimane si giocherà una partita geo-politica che influenzerà il corso di molti decenni a venire.
Quella proposta è solo una parte dell’intervista con Eliseo Bertolasi. La versione integrale è disponibile allegata in pdf
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