U n popolo di santi, poeti, navigatori… e «putitaliani». Ovvero, il nuovo tipo antropologico del fan e simpatizzante del dittatore di Mosca che, con questi numeri spropositati, costituisce un unicum nel panorama occidentale. Non c’è, difatti, nessun altro Paese europeo nel quale le sirene propagandistiche putiniane abbiano trovato un esercito così numeroso di orecchie pronte a ripetere le “ragioni” dell’aggressore. Oppure ad addurre tutta una serie di strumentali chiamate di correità dell’Occidente e di irricevibili “giustificazioni” dell’operato del Cremlino (che continua senza sosta a macchiarsi di crimini di guerra). Si tratta – per parafrasare Lenin (pure lui espulso dal pantheon putiniano del «Russkiy Mir») – del giustificazionismo malattia senile del populismo.
Ed è precisamente l’Italia laboratorio populista di spicco in seno all’Unione europea – insieme alla capillarità della rete filoPutin e ai molteplici business made(patria) in Russia (visibili od occulti) sul territorio nazionale – a spiegare questa singolarità. Un ex Belpaese pieno di putiliani, insomma. Il populismo, con il culto dell’uomo forte, l’attrazione per la volontà di potenza e il fastidio nei confronti delle libertà e dei diritti rappresenta il brodo di coltura perfetto delle simpatie per gli autocrati. E nel lungo inverno pandemico del nostro scontento, abbiamo visto la spinta populista in difficoltà riciclarsi sotto forma di antivaccinismo e ostilità verso le regole sanitarie. Adesso è arrivata la “quadratura del cerchio”, la sintesi definitiva tra no-Pass e putinismo, come nella manifestazione di sabato scorso del gruppo Modena libera, con un paio di partecipanti che esibivano il simbolo della «Z». Così tutto si tiene nell’isterico catalogo delle poche e confusissime (oltre che spesso in malafede) idee dell’arcipelago no-vax, dove nei mesi passati si è usurpata la stella gialla dei deportati nei lager e ora qualcuno ostenta la «nuova svastica» del militarismo russo che sta perpetrando l’eccidio degli ucraini. Il putitaliano è un nuovo centauro, che si colloca in una vasta area grigia (anzi, rossobruna) alla confluenza di tutti gli antagonismi presenti sul mercato politico, ed esprime una domanda su cui alcuni potenziali nuovi imprenditori (e apprendisti stregoni) della politica intendono cucire un’offerta prêt-à-porter forse già dalle prossime amministrative. Specialmente dalle parti di quella commissione DuPre dove si moltiplicano le ambizioni di discesa in politica di alcuni dei fondatori, e si palesano anche i primi scricchiolii interni.
Attualmente un certo numero di nostri concittadini vive convintamente sprofondato nella fiction della negazione della realtà e della mancata attribuzione delle responsabilità (l’aggressore è stato “provocato” dall’aggredito), rivendicando una sorta di «sovranismo psichico» (e sempre più «psichiatrico»...) grazie al quale avrebbe compreso l’esistenza di un «Truman show» permanente che nasconde la “verità”. Di qui, l’alternanza ciclotimica di vittimismo e sindrome persecutoria e di il piglio “superomistico” della battaglia “anticonformista” e «divergente» contro le soverchianti forze del «Sistema» giacché a loro «non la si fa». Siamo evidentemente al cospetto di forme di dissociazione e di metaversi edificati dalla disinformazia attraverso cui i tanti putiliani si immergono in una dimensione parallela imbevuta di complottismo e pulsioni antisistemiche, e pure di un ritorno di fiamma dell’esoterismo (sempre più diffuso tra no-Pass e no-vax). Altrettanti segni di quella che, guardando ai precedenti nella storia europea, ha tutta l’aria di una «crisi di civiltà». E oggi potremmo dire di trovarci di fronte alla crisi del postmodernismo «opportuno» (quello del pluralismo e della convivenza delle verità con la «v» minuscola), e al trionfo di quello «pericoloso» (la dissoluzione del dato di fatto affogato in un relativismo senza limiti). Una parabola che vediamo consumarsi in maniera esemplare nelle tesi del debordiano Carlo Freccero, l’intellettuale televisivo per antonomasia, passato dalla sessantottina lotta continua alla performance infinita, all’insegna della costante del voler épater les bourgeois. Eccolo, allora, in compagnia degli altri DuPre, tuffarsi senza più alcun freno nella fossa delle Marianne delle cosiddette “verità alternative” del pan-cospirazionismo che tira un filo rossobruno dal Covid sino alla «fiction» di Mariupol, descritta come una messa in scena popolata di attrici incinte e bombe false. Ed eccolo teorizzare la guerra in Ucraina come un serial, dove i veri cattivi coinciderebbero con Zelensky e i suoi comunicatori, tutti impegnati non a difendersi dalla violenza belluina degli invasori, ma a manipolare la «narrazione» del conflitto, producendo «simulacri» per ingannare l’opinione pubblica. Un giustificazionismo parossistico e un repertorio di postverità che si salda con la disinformazione e il dispotismo orientale 2.0 del neozar, alimentando ulteriormente quello Stige internettiano in cui sguazzano i neonegazionisti della strage di Bucha (e delle altre di cui stanno emergendo via via le orribili evidenze). I putiliani, giustappunto, scaturiti da un complesso di frustrazioni psicologiche e socioeconomiche individuali, dalla rincorsa spasmodica di qualsivoglia antagonismo distruttivo e dalla triste efficacia della guerra ibrida scatenata da parecchio tempo dalle ambasciate e dai servizi di Vlad l’Impalatore della verità.
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