Forse non tutti sanno che l’insegnante, anche se di lungo corso, ad ogni inizio anno scolastico sperimenta un leggero stato d’ansia. Quest’anno, la notte prima della campanella, agli usuali dubbi di natura didattica si sono aggiunti quelli legati alla coda della pandemia. Nella fase pre-sonno le domande si sono rincorse. Conviene indossare la mascherina in classe? Magari usarla negli spazi comuni? Oppure finché il clima sarà clemente e le finestre rimarranno aperte il rischio appare irrisorio e quindi, con tranquillità, si può non imbavagliarsi? Al mattino, gli interrogativi svaniscono e, con un’azione che appare ridicolmente coraggiosa, si entra a viso scoperto. A conforto, nei volti della maggior parte dei colleghi si percepiscono le stesse domande e la stessa risoluzione: via gli ausili così utili lo scorso anno scolastico, ma anche così faticosi da sopportare per lunghe ore di lezione in classi numerose e non sempre attente. Finalmente si respira! Non del tutto sicuri, magari ancora intenzionati almeno a preservare le distanze, sperando di poterlo fare, prima o poi, in tutta tranquillità.
Superato il primo motivo di preoccupazione, facendo i dovuti scongiuri, altri incalzano. Che fare di tutto il digitale e l’esperienza maturata in tal senso? Ovviamente non si può tornare indietro: l’uso del pc e gli strumenti digitali hanno favorito d’un colpo lo svecchiamento di certe pratiche didattiche ormai desuete. Di questo sono tutti convinti. Ed ecco l’amara sorpresa. Le strutture scolastiche non sono state riadattate alle nuove esigenze; pertanto, l’utilizzo integrato delle risorse digitali, almeno nelle aule, è pura utopia. Ottimo ritornare alla fisicità dei manuali in uso. Peccato che ormai anche i testi più tradizionali si avvalgano di un consistente apparato digitale; questo anche per contenere i costi, visto che i consigli di classe si trovano poi a maggio a fare salti mortali per scegliere libri che non sforino il tetto di spesa stabilito per ogni anno di corso. Per inciso, quanta fatica si fa a spiegare, a tutti i livelli, come queste tabelle del Ministero non vengano aggiornate da anni, mentre il costo dei libri di testo subisce delle variazioni, e che un testo non lo si può scegliere solo sulla base del suo prezzo. Nel migliore dei mondi possibili ogni studente dovrebbe poter contare su un tablet e disporre di una connessione Internet, oltre che di prese per poter ricaricare lo strumento. Così, quando sulla pagina del libro compaiono un link o un QR code a far bella mostra di sé per approfondimenti o recuperi in itinere, l’insegnante dovrebbe avvalersene nell’immediato e non pronunciare la solita frase (che spesso cade nel vuoto): questo è per compito.
*docenti di Lettere dell’IISS A. Greppi di Monticello in Brianza (Lecco)
Nel migliore dei mondi possibili un insegnante avrebbe davanti a sé classi composte al massimo da una ventina di alunni, in spazi riarredati, minimamente riqualificati, perché il piacere di lavorare e studiare in un luogo bello fa sì che lo stare a scuola sia appagante. Invece, l’illusione che l’esperienza del Covid avrebbe finalmente spinto chi di dovere a rivedere almeno il numero minimo di alunni per classe è svanita nel momento in cui si è entrati in possesso degli elenchi delle singole classi. Specialmente nelle prime si continuano a registrare numeri altissimi (30 e oltre) che, se da un lato inorgogliscono i singoli istituti, dall’ altro poco hanno a che fare con una didattica efficace e rispettosa della salute e del benessere di alunni e docenti.
E poi un’altra amara sorpresa. Poco prima dell’inizio anno scolastico, una mattina di inizio settembre si scopre che è stata trafugata la strumentazione informatica che la scuola, a fatica, ogni anno acquista o aggiorna, utilizzando tutti i canali possibili, non esclusi concorsi e raccolte punti generosamente dispensate da qualche azienda della grande distribuzione o dalle piattaforme e-commerce. Chi è nel mondo della scuola sa che questo accade, preferibilmente quando le aule non sono ancora gremite, o quando gli strumenti nuovi sono negli imballaggi e accumulati in qualche angolo dell’istituto. Azione gravissima, non tanto per il valore della refurtiva, quanto per i presupposti e le implicazioni che sottintende: il discredito del valore dell’azione didattica ed educativa e il danno arrecato non tanto alla scuola quanto alle giovani menti lese nella loro possibilità di apprendimento. Deprimente scoprire che nemmeno nelle situazioni socialmente sensibili ci sia rispetto. È un po’ come rubare dalle cassette delle elemosine… Che poi la scuola fatichi a stipulare contratti assicurativi che garantiscano la copertura dei danni e che non sempre sia possibile dotare gli edifici di efficienti strumenti anti furto queste sono considerazioni che meriterebbero un approfondimento a parte. Sta di fatto che senza pc è ormai impossibile lavorare, non foss’altro che per la semplice ragione che non esiste nemmeno più il registro cartaceo. E per fortuna! Fatto salvo tutte le volte che la dematerializzazione è più propagandata che realizzata. Dunque, se la scuola copre i danni rifondendo il maltolto, spesso all’insegnante viene richiesto un doppio lavoro di sorveglianza, magari portandosi appresso i pc della scuola e custodendoli con religioso rispetto. Oppure, come sempre più spesso accade, l’insegnante sceglie di portare la propria strumentazione per non rallentare l’attività didattica. A riprova (ennesima) che insegnare è ben altro del semplice entrare in classe e mettersi in cattedra.
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