Mentre la popolazione della Striscia di Gaza non ha più pane, non ha più medicine, non ha più combustibile per far funzionare gli impianti che dissalano l’acqua del mare, Hamas e i suoi leader continuano ad arricchirsi. La denuncia arriva da alcuni tweet dello Stato di Israele, ma arriva anche da report, notizie recuperate da media arabi e non solo, audizioni ufficiali al Senato: insomma, tutte le fonti concordano nell’attribuire patrimoni milionari, o miliardari, ai vertici dell’organizzazione e allo stesso movimento militante islamico che governa Gaza e che ha attaccato brutalmente Israele il 7 ottobre.
Guerra in Medio Oriente, le notizie in diretta
I tunnel, scavati sotto il terreno di Gaza, non servono soltanto per consentire a chi combatte di spostarsi indisturbato e raggiungere il confine: sono principalmente canali di passaggio per merci di contrabbando. Hamas non scava pozzi per attingere acqua potabile per la popolazione, fanno sapere da Israele. Continuano a scavare tunnel funzionali alla guerriglia. E visto che il perimetro della striscia è chiuso, non soltanto ora per la guerra, le gallerie sono fondamentali per trasportare oltre che le armi anche il cibo e tutti i generi di prima necessità che, al mercato nero e a prezzi alti, si trovano comunque nella Striscia: secondo le stime, le “imposte” di Hamas ammontano al 20% del valore della merce. Secondo analisi dello Stato di Israele, il bilancio di Hamas grazie a queste tassazioni arriva a un miliardo di dollari all’anno. Ma patrimoni consistenti sono in mano anche ai singoli e spesso i capi della organizzazione non risiedono neppure della Striscia, ma dirigono le operazioni, le aggressioni, la guerra, da lontano, da altri Paesi arabi. La disoccupazione in quella porzione di territorio è altissima, stimata al 60%. In un rapporto della Banca Mondiale del 2022, il PIL pro capite di Gaza era stimato a 1.257 dollari, circa un quarto del PIL pro capite stimato in Cisgiordania, pari a 4.458 dollari. Queste cifre lo rendono uno dei luoghi più poveri del mondo. E a complicare le cose, e a impoverire la popolazione, contribuisce pure il blocco israelo-egiziano che dal 2007 impone restrizioni sulle merci in entrata o in uscita
Ismail Haniyeh ha un patrimonio stimato in 5 miliardi di dollari, fa sapere Israele. Era stato eletto primo ministro dell'Anp (Autorità nazionale palestinese) nel marzo del 2006, carica che ha ricoperto fino a metà del 2007, quando Hamas ha preso il possesso della Striscia e lui è stato eletto presidente dell'ufficio politico della organizzazione, al posto di Khaled Meshal. Per rendersi conto della sua ricchezza, basti pensare che nel 2010 Haniyed ha pagato 4 milioni di dollari (utilizzando il nome del genero come prestanome) per un appezzamento di 2500 metri di terra a Rimal, elegante quartiere fronte mare di Gaza, vicino al campo profughi di Shati dove è cresciuto. Poi Khaled Meshal: quest’ultimo, fondatore dell’ufficio politico di Hamas, ne è diventato il vertice dall’esilio nel 2004 e ha ricoperto la carica fino al 2007. Non ha mai vissuto nella Striscia, ma ha sempre operato da lontano: da Giordania, Siria, Qatar, Egitto. Ora dovrebbe vivere in Qatar. Il suo patrimonio è stimato da Israele in 5 miliardi di dollari. C’è poi Moussa Abu Marzook (o Marzouq), con un patrimonio stimato di 3 miliardi di euro. Dal 1997 è vicepresidente del Politburo di Hamas: aveva dato un contributo fondamentale nel 1989 per riorganizzare il movimento dopo gli arresti di massa e da lì è cominciata la sua ascesa. Attualmente sta a Doha, in Qatar, ma ha vissuto in Giordania, dal 1998 al 2001, in Siria a Damasco , al Cairo in Egitto dal 2012. E' stato arrestato negli Usa all'aeroporto Jfk negli Anni Novanta, ma poi era stato rilasciato perché non c'erano accuse formali e precise a suo carico. Tra gli addebiti che successivamente gli sono stati contestati, il finanziamento di organizzazioni terroristiche, capo per cui è stato incriminato successivamente. I tre vengono citati anche in una audizione ufficiale al Senato resa dall’ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar, nel giugno del 2021 e in quei documenti si fa riferimento proprio alle ingenti ricchezze dei capi della organizzazione.
Questi, e in generale tutti, leader di Hamas vivono guardandosi le spalle dai tentativi di Israele di colpirli e finalmente eliminarli e in alcuni casi per lunghi periodi non si conoscono le loro collocazioni o le loro condizioni di salute.
Ci sono anche le criptovalute. Le autorità americane, dopo l'attacco del 7 ottobre, hanno proposto di catalogare come strumenti di riciclaggio di denaro i mixer di criptovalute stranieri, cioè i servizi che "mescolano" i fondi digitali degli utenti per continuare a garantirne l'anonimato: proprio i bitcoins potrebbero essere utilizzati per finanziare organizzazioni terroristiche come Hamas. Il timore è che fiumi di denaro possano confluire nelle tasche dei terroristi proprio attraverso queti canali.
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