MILANO - La lotta all'evasione fiscale per abbassare la pressione fiscale, la dismissione del patrimonio pubblico per abbattere il debito. Sono i cardini della politica economica di Matteo Renzi, per come emerge dalla sua mozione presentata in occasione del Congresso del Pd a sostegno della sua candidatura. Un documento agile con molte dichiarazioni d'intenti, che necessitano ulteriori sviluppi per assumere connotati concreti. Ma non mancano indicazioni precise, quando ad esempio si parla di stop all'incentivazione a pioggia di settori industriali in cambio di un cuneo fiscale meno pressante. Ecco di seguito gli argomenti estrapolati dal testo:
Austerity. Uno dei passaggi più articolati della mozione di Renzi (la più snella tra quelle dei candidati segretari) in tema economico è dedicato al tetto al 3% del rapporto tra deficit e Pil. Renzi inizia quel paragrafo spiegando che "superare l'austerity come religione e i conti come fine è il primo passo per costruire una Europa politica che sappia scegliere e non solo amministrare"; d'altra parte "le politiche di euro-austerity hanno dimostrato il fiato corto e si sono rivelate inidonee e a rilanciare la ripresa". Il dettame di rigore fissato con il trattato di Maastricht è definito un "parametro anacronistico", che deriva da presupposti percorribili nel 1992: stabilizzare il debito
al 60% del Pil, media dell'epoca, e crescita economica al 3%. Ora non lo sono più. A ciò si aggiunge il fatto che il parametro del 3% "soffre problemi di credibilità: quando nel 2003 l'hanno violato Francia e Germania, si è preferito sospendere il Patto di Stabilità piuttosto che applicare la sanzione". Fatta la diagnosi, se ne indica la via di cura che pare però di difficile attuazione, vista la fermezza sul tema che emerge da Bruxelles; per Renzi serve "disegnare un nuovo e credibile sistema di vincoli che sia al passo coi tempi, che permetta di risanare i bilanci realisticamente (senza uccidere il malato) e che possa essere rispettato da tutti. Se iniziamo a cambiare verso all'Italia, poi abbiamo le carte in regole per chiedere che cambi verso l'Europa".
Lavoro. Nel documento per il Congresso, Renzi riconosce al tema la stessa centralità attribuitagli in passato dal Partito Democratico. Ma aggiunge: "Ne parliamo tanto, ma dobbiamo fare di più. Perché il lavoro è considerato un'emergenza solo a parole". Il cambiamento proposto dalla cabina di regia dei Democratici comincia dalla base del processo di ricerca occupazionale: dai centri per l'impiego. "Qualcosa vorrà pur dire se i centri per l'impiego in Italia danno lavoro a 3 utenti su 100 contro quelli svedesi che arrivano a 41 su 100 o quelli inglesi che raggiungono la cifra di 33 su 100". In seconda battuta, Renzi propone la "rivoluzione nel sistema della formazione professionale, che troppo spesso risolve più i bisogni dei formatori che di chi cerca lavoro", e include anche le amministrazioni locali tra coloro che hanno gestito male la formazione.
La richiesta di semplificazione che permea l'intera mozione attraversa anche il tema del lavoro: "Dobbiamo semplificare le regole del gioco: sono troppe duemila norme, con dodici riviste di diritto del lavoro, con un numero di sindacati e sindacalisti che non ha eguali in nessun paese occidentale". Si preparino a una cura dimagrante, dunque, i sindacati. Questi ultimi, insieme alle organizzazioni datoriali, sono chiamate a un passo di trasparenza, altro tema ricorrente nel testo: "Debbono essere chiamate a una precisa rendicontazione dei vari contributi che ricevono le aziende socie". Annesso a questo tema, si scorge un programma più articolato quando Renzi dice che devono "diminuire i contributi a pioggia che ricevono alcune aziende per abbassare le tasse a tutte le aziende". Di fatto, stop all'incentivazione di alcuni settori da parte dello Stato e - con le risorse risparmiate - un intervento sul cuneo fiscale.
Sempre a sgravi fiscali - ma legati alle assunzioni - si fa riferimento, quando si rimanda a un più complessivo "piano per il lavoro da presentare al Paese prima del prossimo Primo Maggio per raccontare che idee abbiamo noi del lavoro, dalla possibilità di assunzioni a tempo indeterminato per i giovani con sgravio fiscale nelle aziende per i primi tre anni fino all'investimento necessario per chi si trova senza lavoro all'improvviso a cinquant'anni". Ancora nel paragrafo sul lavoro rientrano altre visioni di politica industriale. "Attenzione ai nuovi settori: Internet ha creato 700.000 posti di lavoro negli ultimi 15 anni, ma sembra ancora un settore riservato agli addetti ai lavori", ammonisce Renzi, pronto forse a una primavera digitale tutta italiana.
Tasse. Il bacino della lotta all'evasione è indicato come grimaldello per cancellare l'immagine del Pd come "Partito delle tasse. Non dobbiamo più consentire a nessuno di definirci il partito delle tasse. Perché non lo siamo", rivendica Renzi. "E perché chi lo dice in questi anni non ha ridotto la pressione fiscale", aggiunge. L'innovazione dovrebbe riguardare anche le Entrate, mentre suonano chiare le parole sul tema dell'uso del contante: servono "strumenti veri per combattere l'evasione fiscale, aiutare le aziende rendendo l'Agenzia delle Entrate, non il nemico ma il partner, che prova ad aiutarti prima che a sanzionare, investire sulle fatturazioni digitali ma anche sul pagamento oltre il contante che ancora rappresenta una nicchia di mercato troppo piccola, anche per l'eccessivo costo imposto dal sistema bancario".
Dismissioni. Se il recupero dall'evasione serve per ridurre il cuneo fiscale, "tutto ciò che otterremo dalla dismissione di patrimonio dovrà essere utilizzato soltanto per ridurre il debito, non producendo ulteriore spesa". Pronti dunque ad accelerare con la vendita dell'argenteria di Stato. Uno Stato che, di contro, deve modificare il suo approccio al mercato. "Il Pd non sarà mai subalterno al mercato, che deve regolare. Ma proprio per questo la politica non può interferire con operazioni economiche e finanziarie che devono essere garantite da leggi chiare e non modificabili in corso d'opera". Pensiero chiaro e non tanto in sintonia con il senatore Massimo Mucchetti in relazione alla vicenda Telecom, la società di telefonia in procinto di passare agli spagnoli di Telefonica: per mantenerne l'italianità, il governo sta ora cambiando le regole sull'offerta pubblica di acquisto. "Proprio perché non siamo subalterni non ci interessano le avventure dei capitani coraggiosi o dei patrioti che nel corso dell'ultimo ventennio hanno alimentato un modello di capitalismo all'italiana più basato sulle relazioni che sui capitali", l'aggiunta. Quanto al problema del credito, Renzi chiede "poche regole chiare" per le banche "per consentire ai players dell'economia di giocare a carte scoperte, tutti con le stesse opportunità".
Burocrazia e Fisco. In cima all'agenda del cambiamento, dopo una riflessione sui numeri dell'Italia che "è ferma da vent'anni", va il tema della "semplicità". "L'Italia deve riscoprire la semplicità", dice Renzi. "Ovunque. In un sistema fiscale incomprensibile persino per gli addetti ai lavori", in primo luogo, oltre che nel campo amministrativo e della Giustizia. "La rivoluzione digitale e l'accessibilità alla rete possono essere una parte della soluzione, solo a condizione di modificare la mentalità dei dirigenti pubblici. Mettere online tutte le spese dello Stato e di tutte le amministrazioni locali consente un controllo costante dell'opinione pubblica. Per essere credibili, però, dobbiamo iniziare da noi stessi. Dai nostri comuni, dalle nostre amministrazioni", si legge ancora nel documento. Come detto in molte occasioni, Renzi punta molto sull'attrazione degli imprenditori stranieri, ora frenati "perché oggi la confusione normativa, burocratica, fiscale e i ritardi biblici della giustizia costituiscono il primo ostacolo a investimenti stranieri e quindi alla creazione di nuovi posti di lavoro". Si preparino ad andare in soffitta, dunque, le crociate in difesa dell'italianità che a fasi alterne sono state condotte anche dal Pd. "In un mondo globale, il problema non è se l'imprenditore è italiano o straniero, ma se crea valore alle aziende oppure no, se crea posti di lavoro oppure no. L'italianità da difendere non è il passaporto dell'azionista, ma la qualità dei prodotti, l'investimento e l'occupazione".
(10 dicembre 2013)
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