Caro Direttore, l’impulso riformatore di Matteo Renzi sembra travolgere ormai anche i proverbi. Vedendolo all’opera, tanti italiani ne sono conquistati e scoprono che «l’impazienza è la virtù dei forti». Sono convinto che la «riforma strutturale» più necessaria alla crescita dell’Italia sia proprio il cambiamento di alcuni tratti della nostra mentalità che ci impediscono di capire bene la competizione mondiale in atto e come affrontarla. Ho perciò grande simpatia per un capo del governo che sta trasmettendo ai cittadini la propria impazienza e il proprio ardimento. Spero che riesca a varare quelle riforme radicali che l’Italia aspetta, anche se tanti italiani cercano di impedirle. E credo che ci riuscirà, purché non trasformi il giusto senso di urgenza in precipitazione e scarsa ponderazione. Questo sarebbe pericoloso, soprattutto nelle riforme costituzionali. Vedo questo rischio, grave, nel provvedimento per il superamento del bicameralismo paritario e per la riforma del Senato, che sarà domani sul tavolo del Consiglio dei ministri. Gli intenti che muovono il presidente Renzi sono sacrosanti. L’attuale bicameralismo perfetto è in realtà un monumento all’imperfezione: lento, costoso, di ostacolo ad un’azione efficace di governo, obsoleto per un Paese articolato su autonomie territoriali e membro dell’Unione Europea. È perciò essenziale che quegli intenti vengano realizzati.
In questi giorni, però, si assiste ad un crescendo di critiche allo specifico progetto con il quale il governo intende realizzarli. Vorrei perciò offrire alla considerazione del presidente del Consiglio un’impostazione che rispetta in pieno tutti i «paletti» da lui fissati, anche se devo dire che non li trovo tutti ugualmente convincenti: solo la Camera dei deputati vota la fiducia al governo; il Senato è espressione delle autonomie territoriali; i senatori non sono eletti dai cittadini; il numero dei parlamentari è fortemente ridotto; il costo del Senato è fortemente ridotto. Ma l’impostazione che propongo (tradotta in una bozza di disegno di legge costituzionale, predisposta con Renato Balduzzi e con l’apporto di Linda Lanzillotta) potrebbe forse raccogliere consensi più ampi di quanto pare accadere al progetto del governo, anche perché tiene ben presenti altri obiettivi importanti, che il progetto governativo non sembra considerare. Menziono qui soltanto alcuni aspetti. Il «costo della politica» è, a mio parere, un concetto molto più vasto (e più pesante!) di quello che emerge dalla pubblicistica corrente. Il vero costo della politica, quello per cui a volte si condanna un’intera generazione, come sta avvenendo oggi per i nostri giovani, è quello delle decisioni sbagliate prese per anni, inseguendo il consenso elettorale in un’ottica di breve periodo o piegandosi a illusioni semplicistiche ma popolari; è quello delle decisioni rinviate per anni, per il timore dell’impopolarità.
Non è sano, anche se talora si è rivelato necessario, che ogni tanto si ricorra a governi «tecnici» perché la situazione è diventata insostenibile e non affrontabile con il normale gioco della democrazia parlamentare. E’ desiderabile invece che quest’ultima sia organizzata in modo da esprimere in ogni momento, strutturalmente, una maggiore consapevolezza per il lungo periodo, per le generazioni future. Nel momento in cui si vuole, opportunamente, valorizzare la Camera dei deputati come l’unica, vera arena della politica, vi è il rischio che la ponderazione, la competenza, la consapevolezza degli effetti di lungo periodo dei provvedimenti, la conoscenza della dimensione europea e internazionale, vengano a soffrirne. Proprio in una fase storica in cui ce ne sarebbe grande bisogno. Ecco che il Senato può trovare una funzione essenziale: con un’opportuna composizione e assegnazione di compiti, può fornire alla «respirazione» di una buona politica un polmone essenziale, distinto e complementare a quello della Camera. Non si tratta quindi di tenere in vita il Senato solo perché sarebbe sgarbato o impossibile abolirlo. Si tratta invece di vedere nel nuovo Senato un’istituzione necessaria per fare funzionare al meglio la nuova architettura complessiva. Nel nostro progetto, si cerca di realizzare questa missione attraverso un Senato composto non solo da rappresentanti delle autonomie territoriali, ma anche da esponenti delle autonomie funzionali e sociali. Un modo per avvalersi anche di quanto la società civile può dare al Paese.
Un’altra esigenza è quella di rafforzare il controllo indipendente sull’operato del governo. Un Senato che non è più legato al governo dal rapporto fiduciario può meglio esprimere questo controllo, su terreni e con modalità che il nostro progetto prevede in dettaglio. Un’ultima esigenza che qui voglio citare è quella di fare sì che l’Italia (intesa non solo come Stato, ma anche come autonomie territoriali che oggi cercano spesso nell’Unione Europea un protagonismo disarticolato e di solito inefficace) sia più coerente, articolata ma coesa, incisiva sull’asse autonomie territoriali-Stato-Ue, sempre più importante nella governance a livelli molteplici. Il Senato, forte della rappresentanza strutturata di quelle autonomie, potrà dare un grande contributo.
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