VENT’ANNI fa il Nord conquistava l’Italia. Berlusconi e Bossi, Bossi e Berlusconi, vincevano le elezioni politiche. E governavano insieme. Per poco, visto che, pochi mesi dopo, la Lega se ne sarebbe andata.
Incapace di sostenere il ruolo del partito di governo. Eppure per vent’anni Lega e Fi, Fi e Lega hanno percorso un cammino comune. Con interruzioni improvvise. Anche lunghe. Ma, in fondo, hanno proceduto insieme. Al governo o all’opposizione. A livello nazionale e territoriale. La Lega, insieme a Forza Italia, è all’origine della Seconda Repubblica. Ha rappresentato il Nord. Ha fatto divenire la “questione settentrionale” questione “nazionale”. E ha imposto la rivoluzione federalista. Il trasferimento delle competenze e dell’autorità verso Regioni, Province, città. Vent’anni fa la capitale si è spostata. Da Roma al Lombardo-Veneto, patria del forza-leghismo, per ricorrere alla suggestiva definizione di Edmondo Berselli.
Ma oggi, vent’anni dopo, che cosa resta del Nord? Della Lega? Di Forza Italia? Del Forza-leghismo? Francamente poco. La Lega, alle recenti europee, ha ottenuto un buon risultato, ma ha quasi dimezzato i voti rispetto alle politiche del 2008 e alle europee del 2009. A Fi, d’altronde, è andata anche peggio. Entrambi sono in crisi di identità. La leadership di Bossi, in particolare, è stata compromessa dalla malattia e, ancor più, dagli scandali che ne hanno coinvolto familiari e fedeli. L’attuale leader, Matteo Salvini, ha rimesso in cammino la Lega. Ma, rispetto al Senatur, è un’altra cosa… Gli storici raduni di Ferragosto, a Ponte di Legno, non a caso, appartengono alla storia. L’ultimo, nei giorni scorsi, è passato quasi in silenzio, sui media.
Berlusconi, invece, è ancora sulla scena. Ma recita da comprimario. Sempre alle prese con problemi giudiziari. Sconta il declino del modello politico e sociale che interpretava. La società individualista e imprenditiva, fiaccata dalla crisi. Tuttavia, il problema maggiore, per il Nord, non riguarda tanto — e soltanto — la leadership. Ma, anzitutto, il fondamento e l’esistenza stessa della questione che esso ha rappresentato. Il Nord, appunto. Dov’è finito? I temi e le rivendicazioni che ha espresso: dove sono scivolati?
Per quel che riguarda le autonomie territoriali e il federalismo: non è più tempo. I Comuni: schiacciati dalle aspettative dei cittadini, crescenti, in presenza di risorse calanti. Trasformati da attori in esattori — dello Stato. Le Province: sparite. Cancellate con un colpo di penna. Anche se le competenze e i servizi che esse realizzavano verranno ridistribuite tra associazioni di comuni, città metropolitane e altre entità indistinte. Le Regioni: investite da scandali ricorrenti. Percepite come nuove forme di centralismo. Che si sono aggiunte allo Stato. E oggi, per questo, appaiono altrettanto sfiduciate, agli occhi dei cittadini. Anche se la riforma costituzionale avviata dal governo prevede di cooptare al Senato i rappresentanti dei consigli regionali. Ma per risparmiare… Insomma: il federalismo, invenzione del Nord, sembra “devoluto”. Comunque, emarginato, come i soggetti politici che l’hanno imposto. È sopravvissuta soltanto la rabbia contro lo Stato e il sistema pubblico.
Ma è stata intercettata e raccolta, in larga misura, da nuovi soggetti politici. Per primo: il M5s. Che, tuttavia, non ha radici territoriali. Non ha una geografia politica. Come la Lega, soprattutto. Ma anche Fi. Federazione di lobby e di gruppi di potere locali con la testa (e il portafoglio) a Milano. Oggi è scomparsa la geografia politica nazionale. Il principale partito, il PdR, il Pd di Renzi, non ha confini e punti di forza. Alle elezioni europee ha sfondato nel Nord. Nel territorio leghista. Ma ha una geografia nazionale anche il principale partito di opposizione. Il M5s guidato da Grillo e Casaleggio. D’altronde, il suo spazio è senza territorio: il web. E il principale motivo del suo successo risiede nel rifiuto dei partiti “tradizionali” della Seconda Repubblica. (L’ossimoro non è casuale.) Renzi e il suo partito ne hanno sfruttato la spinta. E nel governo di Renzi, già sindaco di Firenze, non a caso, lo spazio del Nord padano è molto limitato. I ministri che potrebbero evocare il Lombardo-Veneto hanno cittadinanza diversa. E la sottolineano. Pàdoan, non a caso, viene pronunciato con l’accento sulla prima e non sulla seconda “a”. D’altronde, nonostante l’origine, denunciata dal cognome, è “romano”.
La stessa Lega, infine, è cresciuta soprattutto nel Centro-Sud. Si è anch’essa “nazionalizzata”.
Insomma, il Nord oggi appare un’(id)entità rimossa. Insieme al Nordest. Per non parlare della Padania. Mentre il Lombardo-Veneto indica l’asse della crisi della Seconda Repubblica. Segnato dagli scandali scoppiati a Milano (intorno all’Expo) e Venezia (il Mose). Quasi una metafora del declino della “rivoluzione territoriale” degli ultimi vent’anni. Che ha eclissato anche il Sud. Nonostante i problemi del Mezzogiorno restino seri. Anzi, si stiano ulteriormente aggravando.
La percezione della politica e dell’economia, d’altronde, si è “nazionalizzata” perché la geografia è stata sovrastata dalla geopolitica. Che ha confini “globali”. E più del Nord e del Nordest o del Lombardo- Veneto oggi contano (e conteranno) l’Ucraina, il Kurdistan, la Siria, Gaza. Il contrasto — sempre più evidente — fra Usa e Russia. Più di Roma: contano Bruxelles, Pechino, la City. Sul piano georeligioso: la Corea, l’Iraq dove gli Yazidi fuggono all’avanzata dell’Is. Così, i temi del dibattito politico, anche nel Nord (Italia), si globalizzano. Riguardano la Ue e l’immigrazione. La stessa Lega tende a divenire un soggetto politico securitario e antieuro. Come il Fn di Marine Le Pen.
Insomma, il Nord si è perso nelle nebbie della globalizzazione politica ed economica. E la sua rimozione, in qualche misura, segnala quella “fine dei territori”, annunciata da alcuni studiosi (fra cui Bertrand Badie). Una tendenza che gli Stati nazionali (l’Italia per prima) non sembrano in grado di affrontare. Semmai, ne sono un fattore. Anche per questo il declino dei territori è destinato a fare emergere nuovi territori. Nuovi confini e nuovi Limes, reali o “inventati”. Nuove patrie, che soccorrano il bisogno di identità e di autorità. Al posto della Padania e del Nordest, d’altronde, già preme l’indipendentismo regionalista. Anzitutto in Veneto. Così, è meglio prepararsi. Dopo il Nord, oltre il Nord, ci saranno altri Nord. Non solo nel Nord.
Per reagire allo spaesamento. Alla paura del Mondo.
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