DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES «Questo è il più grande rafforzamento e riposizionamento della difesa collettiva della Nato fin dai tempi della Guerra Fredda».
Non è la solita frase ad effetto, quella che giunge da Bruxelles. Dietro le parole di Jens Stoltenberg, segretario generale dell'Alleanza Atlantica, ci sono eventi e cifre che potrebbero entrare presto nei libri di storia. Mentre Nato, Ue e Usa si dividono sulla necessità di armare l'Ucraina, mentre Angela Merkel e François Hollande volano a Kiev per tentare un'ultima mediazione, e mentre Vladimir Putin proclama la mobilitazione dei suoi riservisti per due mesi («succede ogni anno», ma quest'anno è successo prima), la Nato annuncia che triplicherà o quasi le sue truppe nell'Est-Europa: quanto prima possibile, porterà da 13mila a 30mila i soldati del suo dispositivo di rapido impiego approvato soltanto nello scorso settembre.
E con loro, moltiplicherà i loro mezzi: carri armati, artiglieria pesante e leggera, aerei, elicotteri, navi, batterie lancia-missili, anche forze speciali di varie nazioni addestrate alla guerriglia. Formalmente, si spiega che questo servirà alla difesa complessiva dello «spazio euro-atlantico» da nord a sud, fino ai confini meridionali dove preme il terrorismo islamico. Ma intanto, sei centri di comando e controllo (non basi, si precisa) verranno istituti quanto prima in altrettanti Paesi Nato dell'Est: Bulgaria, Estonia, Romania e poi Lettonia, Lituania, Polonia, tutta l'area del Baltico.
Le forze che vi faranno capo, schierate di fronte ad analoghe forze russe, potranno e già possono entrare in azione nel giro di 48-72 ore: Stoltenberg non lo ricorda certo a caso, davanti ai ministri della Difesa della Nato riuniti a Bruxelles. Spiega che queste sviluppi - strategici, non tattici - si sono resi necessari perché in Ucraina «la violenza sta peggiorando e la crisi si sta aggravando» a causa del ruolo giocato da Mosca, «e questo è un momento molto critico per la sicurezza dell'Europa e del mondo».
Le truppe che ora la Nato ha deciso di triplicare sono la cintura di sicurezza che protegge i suoi Paesi-membri dall'incendio fiammeggiante nel cuore dell'Europa. Una parte di esse, la brigata multinazionale «Punta di lancia» forte di cinquemila unità, è nata a dicembre e avrebbe dovuto entrare a pieno regime solo nel 2016. Ma adesso, il suo addestramento è stato accelerato al massimo, secondo un modello operativo «provvisorio», e almeno in parte potrebbe muoversi anche subito, se la situazione precipitasse: se cioè uno dei Paesi Nato dovesse essere attaccato dall'esercito russo, o esplodere dall'interno per effetto di una rivolta separatista armata da Mosca, così come accaduto in Crimea.
Le truppe che ora la Nato ha deciso di triplicare sono la cintura di sicurezza che protegge i suoi Paesi-membri dall'incendio fiammeggiante nel cuore dell'Europa. Una parte di esse, la brigata multinazionale «Punta di lancia» forte di cinquemila unità, è nata a dicembre e avrebbe dovuto entrare a pieno regime solo nel 2016. Ma adesso, il suo addestramento è stato accelerato al massimo, secondo un modello operativo «provvisorio», e almeno in parte potrebbe muoversi anche subito, se la situazione precipitasse: se cioè uno dei Paesi Nato dovesse essere attaccato dall'esercito russo, o esplodere dall'interno per effetto di una rivolta separatista armata da Mosca, così come accaduto in Crimea.
«Punta di lancia» è formata in gran parte da unità fornite dalla Germania, dall'Olanda e dalla Norvegia, ma è aperta al contributo di altre nazioni, Italia compresa. In apparenza, la scacchiera su cui vaga l'incendio ha margini ben segnati: Mosca accusa Kiev di perseguitare la folta minoranza russa, la Nato accusa Mosca di sostenere I separatisti «con l'addestramento, le truppe e centinaia di armi avanzate, in spregio ai suoi impegni internazionali». Stoltenberg sa bene, e ripete sempre, che l'Ucraina non è membro dell'Alleanza, che un intervento militare in suo aiuto del suo governo sarebbe impossibile: ma ripete anche che la Nato «sosterrà la sovranità politica e geografica dell'Ucraina, che ha il diritto di proteggere se stessa».
Le armi, aggiunge, non sono della Nato ma dei singoli governi, «tocca a loro decidere». E qui, i pezzi sulla scacchiera si confondono: perché dagli Stati Uniti giunge l'appello ad armare Kiev, anche con armi offensive e letali. La prima risposta giunge da Mosca: la Russia considererebbe una minaccia per i propri vitali interessi l'invio di armi all'Ucraina.
Le armi, aggiunge, non sono della Nato ma dei singoli governi, «tocca a loro decidere». E qui, i pezzi sulla scacchiera si confondono: perché dagli Stati Uniti giunge l'appello ad armare Kiev, anche con armi offensive e letali. La prima risposta giunge da Mosca: la Russia considererebbe una minaccia per i propri vitali interessi l'invio di armi all'Ucraina.
Ma la seconda risposta giunge da alcuni comandanti militari della Nato, che mettono in guardia contro una situazione potenzialmente fuori controllo, e da vari Paesi membri dell'Alleanza, che continuano a invocare una soluzione politica: Italia, Olanda, Germania, Gran Bretagna, e altri. «Più armi in quella regione non ci avvicinerebbero a una soluzione - avverte il ministro tedesco della Difesa, Ursula von der Leyen - e non porrebbero fine alla sofferenza della popolazione». Ma l'incendio continua, e porta via tutte le voci.
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