Le donne hanno un ruolo. Ed è un ruolo stabilito da Dio. Possono sposarsi a nove anni, devono stare in casa con il marito e i figli, combattono solo se strettamente necessario, non devono avere un lavoro, se non quello di maestra o di dottoressa. Le donne di Isis alzano il velo del loro niqab e si presentano al mondo. O, meglio, Isis le presenta, decidendo ciò che devono essere. La dottrina arriva da un manifesto della brigata femminile Al-khansaa, responsabile della moralità delle donne dello Stato islamico nota per la sua crudeltà. Il lungo documento, scritto solo in lingua araba e tradotto dal think thank britannico anti-terrorismo Quilliam Foundation, è destinato solo alle donne arabe (Isis non l’ha proposto in altre lingue) ed è comparso online in gennaio.
Il testo afferma che le donne devono restare nascoste alla vista, portare il velo, stare a casa ed evitare negozi alla moda e saloni di bellezza come se fossero opera del diavolo. Ma non solo. La vita delle mujharat (le spose pellegrine) è scandita alla lettera. Dai sette ai nove anni le bambine devono studiare religione, arabo e scienze. Dai 10 ai 12 anni si devono concentrare su come la legge islamica tratta il matrimonio e il divorzio, oltre che sul cucito e la cucina. L’istruzione delle ragazze termina all’età di 15 anni. A lavorare sono gli uomini. Una donna può lasciare la casa solo se decide di studiare teologia, se diventa medico o insegnante o se una fatwa le impone di prendere parte alla jihad.
Il documento, che cita in più passaggi il Corano e la Sharia, rivela inoltre un profilo molto più sobrio delle donne fra i militanti rispetto a quello descritto dalle jihadiste occidentali che hanno parlato delle loro esperienze sui social media, sottolinea la Quilliam Foundation. “Per quanto le jihadiste occidentali abbiano dato un’idea sessualmente carica della vita delle donne nel Califfato, questo documento ridimensiona tutto”, spiega Haras Rafiq, direttore della fondazione. «I temi dell’avventura e dell’emozione, spesso usati dalle reclutatrici occidentali che vogliono arruolare giovani donne nell’Isis, appartengono in realtà agli uomini», afferma ancora la fondazione.E questo approccio spiega l’istituzione dei corsi di economia e il loro impiego negli ospedali, nelle scuole e negli ospizi. Niente vita spericolata dunque per le mujharat. E tantomeno un ruolo da combattenti.
Attenzione però a pensare che le donne non imbraccino le armi: “Non è da escludere che abbiano un ruolo sul campo di battaglia seppur marginale, le componenti della brigata al Khansaa girano armate di kalashnikov e sono molto attive”, sottolinea Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo. Difficile infatti sapere con esattezza cosa accade in Siria e in Iraq in questo momento. Ciò che è certo è che le donne sono necessarie per la costruzione dello Stato islamico e per la sua vita quotidiana. Ignorarle (come faceva Al Qaeda) sarebbe impossibile. “Per convincerle a vivere nello Stato Islamico, Isis adatta la sua propaganda alle donne con messaggi ad hoc e in questo ha dimostrato una grande capacità strategica”, continua Vidino. Una volta arruolate poi è molto facile che “tra i loro compiti ci sia proprio quello di fare propaganda in rete, cosa in cui sono anche più capaci degli uomini, in quanto più alfabetizzate, soprattutto se arrivano da Occidente e soprattutto se si considera il fatto che su internet, inteso come spazio più democratico, possono ritagliarsi un ruolo”. Come dire, insomma che le donne di Isis sono spose e madri. Ma non solo.
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