Non ho sentito, purtroppo, un solo argomento pertinente, che prendesse in esame i contenuti del mio articolo. Solo accuse di omofobia e urla scomposte, che è poi l’equivalente del buttare la palla in tribuna e del rovesciare la scacchiera.
Perfino dalla pagina Twitter dei 99 Posse si è levato il vibrante “je accuse!” contro la presunta omofobia di chi, come il sottoscritto, pacatamente ha ricordato che in una prospettiva hegelo-marxiana ilprius sono i diritti sociali e che il conflitto eterosessuali-omosessuali è, in fondo, poco interessante in una prospettiva di classe, centrata sul conflitto servo-signore, lavoro-capitale. Ma tant’è.
Nell’epoca dell’alienazione universale e dell’integrale falsificazione della coscienza, anche i cantanti diventano maestri del pensiero, e più precisamente del pensiero unico. Soprattutto – si pensi a Fedez oltre che ai 99 Posse – se giocano a fare la parte della critica al servizio di sua maestà il capitale, creando l’illusione generalizzata che le loro “idee” già da sempre proiettate nei circuiti della circolazione siano il maximum della critica.
Addirittura i 99 Posse invocano apertamente il silenziamento del sottoscritto: si rivolgono al Fatto Quotidiano chiedendo che esso mi neghi il diritto di scrivere sul suo blog. Insomma, maestri di confronto e di dialogo: Socrate era un dilettante! Si rivolgono alle istituzioni, loro che giocano a fare gli anti-istituzionali!
In effetti, la categoria di “omofobia” è ubiquitariamente presente, oggi, nel lessico giornalistico e nella pubblicistica. Il suo uso maniacale ricorda quello, in 1984 di Orwell, dello “psicoreato”, ossia del reato commesso da chi osi pensare cose che il “Ministero della Verità” ha deciso che non debbono essere pensate.
Chiariamoci subito, onde evitare di essere nuovamente noi stessi accusati di omofobia (già, perché la categoria di omofobia ha questo di specifico, che viene usata anche contro chiunque osi discuterla criticamente): se per lotta contro l“omofobia” intendiamo lalotta contro le discriminazioni, contro l’intolleranza e contro la violenza usata ai danni di persone in ragione dei loro gusti sessuali, allora è giusto e sacrosanto lottare contro l’omofobia. Come, del resto, è giusto e sacrosanto lottare contro tutte le discriminazioni e le violenze.
Se, tuttavia, come sempre più spesso accade, la categoria di “omofobia” diventa essa stessa una nuova categoria dell’intolleranza, con cui non si accetta l’esistenza di prospettive diverse, che ad esempio non siano immediatamente quelle emanate dal movimento Lgbt, allora la questione è ben diversa.
Faccio per inciso notare che oggi basta un niente per sentirsi etichettare come omofobi: basta anche solo – ad esempio – sostenere che esistono secondo natura uomini e donne, o che affinché nasca un figlio ci vogliono un padre e una madre; o, ancora, che da sempre la razza umana, nella sua unitarietà, si riproduce tramite la differenza maschile-femminile.
Non ci vedo alcuna “omofobia”, alcuna discriminazione: vi sarebbe se, da ciò, prendessi le mosse per dire – e sarebbe una pura follia – che occorre, in ragione di ciò, discriminare gli omosessuali.
Personalmente (e fa quasi ridere che uno debba precisarlo, ma il sospetto di psicoreato è sempre dietro l’angolo…), ritengo che gli omosessuali siano esseri umani perfettamente “secondo natura”: non vanno né esaltati, né condannati. Sia esaltarli, sia condannarli, infatti, fa di loro dei “diversi”, quando invece sono a egual titolo secondo natura, con pari diritti e pari doveri, non debbono essere considerati come una “categoria a parte”. Fa ridere doverlo precisare, ma nel tempo della menzogna universale anche le cose più evidenti debbono essere ribadite con forza, prima che i 99 Posse di turno inizino a berciare scompostamente.
La categoria di omofobia pone, allora, sullo stesso piano i violenti e discriminatori (che è giusto punire a norma di legge) e coloro che vogliono rivendicare il diritto a pensare con la loro testa (come se anch’essi fossero ipso facto dei facinorosi!), magari pensando che la contraddizione principale sia quella capitale-lavoro.
Ma, si sa, il pensiero libero, da sempre, non è gradito al potere. Che cerca in ogni modo di reprimerlo, silenziarlo, diffamarlo. Un tempo con la cicuta (Socrate) o i roghi (Bruno, Vanini, ecc.): oggi con la diffamazione a opera del pensiero unico politicamente corretto, che silenzia e demonizza chiunque osi cantare fuori dal coro (“omofobo!”, “stalinista!”, “fascista!”).
Già Orwell, in “1984”, aveva colto questa dinamica tramite la categoria di “neolingua”: “Il pensiero non esisterà più, almeno non come lo intendiamo ora. Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa”.
Gli omosessuali non sono una classe sociale. Marxianamente, non ha alcun senso essere contro gli omosessuali o dalla parte degli omosessuali. Ha senso stare in concreto dalla parte dei lavoratori e degli oppressi, omosessuali o eterosessuali che siano, uomini o donne che siano. Non si capisce perché un omosessuale disoccupato o precario dovrebbe lottare insieme (e sentirsi affratellato) con un omosessuale miliardario o broker finanziario.
Il pensiero unico mira anche in questo caso a frammentare il conflitto di classe e a destrutturare la coscienza di classe: a sostituire il conflitto capitale-lavoro, sfruttatori-sfruttati, con il conflitto eterosessuali-omosessuali, uomini-donne, migranti-autoctoni. Deve in ogni modo distrarre dal conflitto di classe.
Ecco allora che laddove la lotta tra le classi andava pur sempre a confliggere con i rapporti di forza dell’economia, la lotta tra eterossessuali e omosessuali, tra immigrati e autoctoni, tra atei e credenti, tra uomini e donne, tra cristiani e islamici non li sfiora nemmeno. Di più, li nasconde, vuoi perché direttamente non li prende di mira – su tutto oggi è lecito dissentire, fuorché sul rapporto di forza egemonico –, vuoi perché, nella migliore delle ipotesi, come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, occulta la lotta contro il classismo ponendola accanto a una galassia di altri micro-conflitti.
Quanto a me, chiunque mi legga e non condanni aprioristicamente, sa che non ho criticato le unioni civili in quanto tali, ma chi pensa che esse siano il non plus ultra dell’emancipazione. Mi si perdonerà, sono allievo di Carlo Marx, non di Vladimir Luxuria.
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