Poche parole per dire addio a una persona che, come fa chi costruisce la storia dei diritti negati nel nostro paese, ha reso pubblica una decisione del tutto privata. E lo ha fatto per dare voce a chi viene silenziato da una politica sempre in ritardo.
Addio a Dominique Velati, la donna che ha deciso di praticare l’eutanasia in Svizzera. Se volete conoscere Dominique, potete farlo attraverso una bellissima intervista che le ha fatto Giulia Innocenzi per Servizio Pubblico, poco prima che andasse in Svizzera. Dovreste farlo perché nove anni dopo la morte di Piergiorgio Welby (era il 20 dicembre 2006) nulla è cambiato e ancora in Italia non esiste una legge che regolamenti il fine vita. Duecento parlamentari e centomila cittadini hanno chiesto a questo governo di legiferare in merito, hanno chiesto a questo governo di cancellare la zona grigia fatta di spine staccate nel silenzio, di coraggio che diventa calvario e sofferenza. Fatto di amore per la vita che diventa bisogno di morire. Fatto di scelta legittima che diventa diritto negato.
Un cancro al colon, metastasi anche al fegato, l’intervento e poi la scoperta che le metastasi interessavano anche altre parti del corpo. Con la chemioterapia Dominique avrebbe vissuto ancora qualche anno, pochi. Senza la chemio da uno a tre mesi. Decide di voler praticare l’eutanasia. Dominique dice che ha molto più coraggio chi accetta di percorrere la strada della chemioterapia e probabilmente, dati gli effetti devastanti della cura, ha ragione. Ma io credo che in un Paese dove non c’è possibilità di scelta sul fine vita, chi invece decide di praticare l’eutanasia ha un coraggio diverso: ha il coraggio della solitudine. Ha il coraggio di prendere una decisione che apparentemente si contrappone non alla morale collettiva, ma alla morale pubblica. La prima indica come le persone nel privato delle loro vite ritengono di affrontare determinati argomenti. La seconda come il nostro paese pubblicamente si pone di fronte a determinati argomenti. Nella realtà dei fatti, un cattolico praticante può scegliere di praticare l’eutanasia o di condividere la scelta di un amico o un parente in tal senso, pur avendo sempre sostenuto pubblicamente di essere contrario.
Quindi il freno non è dato dal sentire comune, ma dalla mancanza di regole. Spesso si dice che la politica sia in ritardo rispetto a quello che la comunità pensa e sente, soprattutto in materia di diritti civili. Pensiamo alle coppie di fatto, ai matrimoni gay, all’adozione di figli in coppie gay, alle stepchild adoption. In assenza di dibattito reale, in assenza di leggi, ogni discussione in merito a questi argomenti ha giocoforza il sapore della provocazione. Eppure provocazione non è, ma legittima richiesta di diritti che non esistono a fronte di necessità reali. Chi, ad esempio, decide di praticare l’eutanasia, lo farà in un contesto che è ostile a quella pratica, semplicemente perché non se ne parla, perché l’eutanasia ha tutto il sapore di una libertà rubata e non di una scelta possibile, al pari della decisione di intraprendere un percorso di cure. Nessuna di queste strade è la migliore in valore assoluto, ma ciascuna è la migliore per chi la sceglie.
Morire a Berna significa potersi permettere 12.700 euro. Morire a Berna significa avere il coraggio di portare alla bocca il bicchiere con dentro 15 millilitri di pentobarbital. Dominique a Giulia Innocenzi ha detto di essere serena, «di una serenità che augurerei a tutti, poi fate altre scelte, se volete». È proprio così: che ciascuno faccia la scelta che vuole, permettendo al prossimo di fare la propria. Permettendo al prossimo di poter vivere e morire secondo la coscienza individuale e non secondo la religione di qualcun altro.
Il 2015 è stato un anno importante, perché difficile e tragico. Un anno in cui chi ci governa ha dato ancora prova di quanto, qualunque cosa accada, l’agenda politica ha tempi che non dipendono dalle richieste di cittadini e dalle loro urgenze. Ecco perché serve il lavoro dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, che spesso fa informazione dove colpevolmente manca. L’Associazione Luca Coscioni ha continuamente bisogno di risorse per le proprie (che poi sono le nostre) battaglie, spero possa contare sulla vostra attenzione. E spero anche che il 2016 sarà l’anno dei diritti non più negati, e nemmeno concessi, ma costruiti.
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