ntonino Allegra aspettava la morte. Per gli insistenti attacchi delle malattie (conseguenze d’una pesantissima bronchite nel 2003, che l’aveva costretto a rinunciare alle adorate sigarette), per la spossante stanchezza della vecchiaia (aveva 91 anni) e per svelare i propri segreti. In un libro di memorie. Rigorosamente postumo. Sabato pomeriggio, nella parrocchia Regina Pacis di via Quarenghi, nel quartiere di Bonola, periferia Nordovest, non lontano dall’abitazione in un anonimo palazzo di sette piani, i funerali dell’ex poliziotto, questore a Trieste e Torino, direttore al ministero dell’Interno dell’Ufficio ispettivo, ma nell’opinione pubblica rimasto «legato» al dicembre 1969, quand’era capo dell’Ufficio politico della Questura di Milano.
Piazza Fontana, Giuseppe Pinelli. Gli ultimi anni di vita, dopo essersi ritirato in pensione in anticipo per star vicino alla moglie bisognosa di cure, Allegra li ha trascorsi a scrivere. Pagine e pagine per raccontare quello che i giornalisti hanno invano continuato a chiedergli. Ovvero che cosa davvero successe, in quelle vicende come nel delitto di Luigi Calabresi, nel 1972. Allegra, spentosi mercoledì, non aveva mai risposto. Al telefono, al citofono, braccato per strada nelle passeggiate verso il bar, aveva sempre taciuto. Ora c’è il libro che il figlio Salvatore, imprenditore, pubblicherà. «Aveva chiesto di farlo soltanto alla sua scomparsa. Anche con me ha evitato certi discorsi. Diceva che non ero pronto... Ha pianificato tutto. Come il “secondo” matrimonio, da vedovo, con una donna albanese che s’era occupata di mia mamma malata e che successivamente ha seguito papà. Era scappata da Tirana perché perseguitata. L’ha sposata per garantirle un futuro sereno».
Chi è stato Allegra? Quanto ha inciso, nel resto dei suoi giorni, l’anno tragico 1969? Su Pinelli ha «coperto» responsabilità? Ha difeso qualcuno? E per quale motivo non ha mai voluto pubblicamente «difendersi»? Il figlio Salvatore dice che ripeteva una frase: «Sono un funzionario dello Stato e ho il dovere di mantenere il segreto». Ma è chiaro che non può bastare. O forse sì. Nel luglio 2000, nella seduta numero 73 della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Allegra ascoltò gli interrogativi di senatori e deputati. Domanda: «Perché subito dopo piazza Fontana le indagini vennero indirizzate sugli anarchici?». Risposta di Allegra, una persona corpulenta con voce ferma, originario di Santa Teresa di Riva, novemila abitanti sul mare, in provincia di Messina: «Non è vero... Non dicemmo che si trattasse di certi o di altri... Si decise di accompagnare in Questura il maggior numero possibile di esponenti di gruppi di estrema destra e di estrema sinistra». Domanda: «Il dottor Calabresi per anni seguì i fatti relativi all’estrema sinistra... Chi è in una certa area viene a conoscenza di notizie che non verbalizza perché rimangono confidenze... Può essere che sia arrivato a scoprire qualcosa di molto importante per cui doveva essere fermato?». Risposta di Allegra: «Se avesse scoperto qualcosa di molto importante lo avrei saputo».
L’addio a Milano cadde nella seconda metà degli anni Settanta. E altri avvenimenti, con al centro il furore sanguinario delle Brigate rosse, incrociarono la storia di Allegra. Il quale, per ammissione del figlio che ha scelto un altro percorso («Ne faccio parte da ventisei anni»), nonostante la forte insistenza «declinò le offerte della Massoneria». Conosceva mezza Italia, Antonino Allegra. Compreso Silvio Berlusconi che, riferisce il figlio, «è stato il mio padrino alla cresima». Ma tornando alle memorie, a che punto sono? «Non posso anticipare... C’è un unico giornalista, che papà apprezzava: Pansa... E sappia che, ad esempio su Pinelli, tanto non è stato svelato». Com’è morto l’anarchico? «Nessuno vuol credere a un ruolo del Kgb... Papà... conosceva forse troppo... Adesso verrà alla luce. No, aspetti, nessuna strategia di marketing, nessuna volontà di approfittarmi della situazione... Ho amato mio padre, mi ha dato e insegnato la vita. Il libro è un atto doveroso, anzi obbligatorio».
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