Secondo l’ultimo monitoraggio dell’Iss, nella prima settimana di luglio un italiano su cento ha ricevuto un test positivo. Rispetto a sette giorni fa, l’aumento è del 40%. I nuovi casi ieri sono stati 100 mila, oltre cento i decessi: non avveniva dal 27 maggio. Le regioni centrali sono le più colpite. In Umbria, Lazio, Abruzzo, Puglia e Campania, l’incidenza settimanale supera i 1200 nuovi casi ogni centomila abitanti.
Aumentano, sebbene più lentamente, i positivi nei reparti (occupano il 13,3% dei posti letto) e in terapia intensiva (3,5%). Secondo un’indagine di Iss e Siaarti – la società scientifica dei medici di rianimazione – due pazienti gravi su tre sono ricoverati per altre patologie. Nonostante la popolazione sia protetta in larghissima parte dai vaccini contro i sintomi gravi, bastano pochi pazienti gravi per riportare in emergenza il servizio sanitario. La gestione dei pazienti positivi richiede percorsi separati e reparti dedicati, mettendo a dura prova ospedali in cui in due anni l’organico non è aumentato.
Nella serata di giovedì il ministero ha diramato una circolare per invitare le regioni a prepararsi al peggio. «Si ritiene importante raccomandare alle Regioni e alle Province autonome – scrive la nota del dg della prevenzione Gianni Rezza – l’attivazione delle misure organizzative atte a fronteggiare nelle prossime settimane un incremento della domanda di assistenza sanitaria legata all’infezione, sia a livello ospedaliero che territoriale, garantendo l’adeguato ampliamento dei posti letto di Area Medica e di Terapia Intensiva dedicati al Covid». Curarsi per patologie diverse dal Covid tornerà a essere un’impresa.
Nel Lazio, la regione più colpita nelle ultime settimane, la società scientifica che riunisce i medici di pronto soccorso (Simeu) ha pubblicato un rapporto allarmante al proposito: lunedì scorso c’erano ben 1.742 pazienti ricoverati nei 24 pronto soccorso della regione. Uno su cinque era positivo, 786 (cioè il 45%) di cui 275 positivi attendevano un posto letto in reparto. In molti casi si preferisce tenere i pazienti sull’ambulanza in attesa di un letto per paura del contagio, sottraendo così risorse ad altre urgenze. «Si è raggiunta quota 47 ambulanze bloccate» scrive la Simeu. I medici segnalano un «netto aumento delle polmoniti Covid-relate, specie nella popolazione over 65 senza quarta dose, ma per i quali al momento non esiste una certa possibilità di essere ricoverati in un reparto di Malattie Infettive» per mancanza di posti letto. E chiedono di aumentare la capacità di strutture specializzate come lo Spallanzani e di riaprire i Covid hotel.
Invano: le regioni hanno finito i soldi e il Pnrr consente solo investimenti infrastrutturali e zero assunzioni. Al governo si risponde raccomandando la quarta dose, che potrebbe essere estesa a tutti gli over60 con l’ok dell’Ema: «C’è confronto proprio in queste ore» dice il ministro Roberto Speranza.
L’emergenza perenne degli ospedali nasce anche da una medicina territoriale ancora latitante, dopo due anni di analisi impietose (ma inutili) sulla scarsa collaborazione tra dipartimenti di prevenzione, medici di base, pediatri, assistenza domiciliare e unità mobili. Senza diagnosi tempestive rimangono inutilizzati i farmaci che prevengono l’ospedalizzazione dei pazienti più fragili, da assumere ai primi sintomi. Nell’ultima settimana, con una media di centomila nuovi positivi al giorno, in tutta Italia si sono prescritti appena 1.700 trattamenti antivirali di Paxlovid, pari allo 0,28% dei casi (dati Aifa). Dalla casa produttrice Pfizer ne riceviamo cinquantamila ogni mese, pagati a caro prezzo ma rimasti per lo più nei magazzini.
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