E' ormai di moda criticare la «globalizzazione». Lo fanno in tanti, dal nuovo presidente americano Donald Trump ai tradizionali no-global di estrema sinistra passando per quei partiti europei definiti «populisti» come la Lega ed il Movimento Cinque Stelle da noi, Le Pen in Francia e tanti altri partiti xenofobi nel Centro e Nord Europa. Ormai la parola «globalizzazione» è quasi un anatema.
Ma che cosa vuol dire davvero «globalizzazione»? In realtà c’è molta confusione su questo punto. Chiaramente «globalizzazione» significa libero commercio di beni e servizi tra Paesi. Il commercio internazionale facilita la crescita, come dimostra ampiamente la storia sempre che la si voglia leggere senza paraocchi. È vero che molti Paesi poveri crescono più di quelli ricchi (riducendo quindi le disuguaglianze nel mondo): lo prevedono modelli economici e lo vediamo con il caso di Cina, India e ora anche di alcuni Paesi africani per non parlare della Corea del Sud e delle altre tigri asiatiche, che ormai non sono più povere affatto. Centinaia di milioni di persone sono uscite dalla povertà più nera nell’ultimo mezzo secolo grazie proprio al commercio internazionale. Non è un risultato da poco e queste stesse persone cominceranno sempre più a domandare merci prodotte anche nei Paesi ricchi. Un immenso bacino di domanda. È vero che l’apertura al commercio internazionale implica aggiustamenti nei Paesi ricchi, con settori che decadono da sostituire con altri.
Ciò talvolta non è facile e richiede uno sforzo anche pubblico per salvaguardare in vari modi i più deboli (le persone più deboli non i settori più deboli, si badi bene). Questo va fatto, ma tornare al protezionismo per proteggere questi settori è un rimedio ben peggiore del male. Ricordiamoci cosa accadde dopo la crisi del 1929 ed il ritorno del protezionismo. I no-global odierni non ne parlano mai.
Per molti, la globalizzazione significa immigrazione. I flussi migratori hanno due motivazioni. La prima sono guerre, pulizie etniche, dittatori criminali come Assad; la seconda sono le differenze di reddito tra Paesi poveri e ricchi. Il primo tipo di immigrazione, che va ovviamente regolata e non è affatto un problema da poco, non ha nulla a che vedere con la globalizzazione. I flussi migratori derivanti da differenze di reddito diventerebbero anche maggiori con il protezionismo commerciale. Immaginiamoci una Cina che non cresca al 7/8 per cento l’anno grazie al commercio internazionale ma rimanga stagnante in un mondo protezionista. Quante centinaia di milioni di cinesi impoveriti non cercherebbero rifugio nei Paesi più ricchi? Se non si muovono beni e capitali si muovono le persone.
A proposito di movimenti di capitali, altri pensano alla globalizzazione come mercati finanziari internazionali fuori controllo. Mercati finanziari interconnessi facilitano i flussi di capitali dai risparmiatori agli investitori in qualunque punto del mondo essi siano, cosicché i risparmi non restino inutilizzati e gli investitori non finanziati. Vi sono stati errori nella regolamentazione di questi mercati? Certo che sì, ma tra questo e dire che quindi bisogna chiudere i flussi della finanza internazionale per cui, che so, un’impresa italiana è obbligata a rivolgersi solo a una banca italiana, c’è una bella differenza.
In Europa poi i critici della globalizzazione si scatenano contro l’Unione europea in generale e l’euro in particolare. È fuori dubbio che molti politici europei siano stati lontani dalla perfezione nel gestire l’Unione Europea. Sappiamo tutti come si siano preoccupati delle dimensioni delle carote invece che di creare un esercito europeo o una finanza pubblica europea. Però il mercato unico europeo dagli anni Ottanta in poi ha favorito la crescita in Europa. Anche qui all’inizio soprattutto, ma non solo, per i Paesi inizialmente meno ricchi come Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia; sì anche la Grecia che ha affossato se stessa con un accumulo di debito inconcepibile prima della crisi. Il mercato unico è stato un successo. E l’euro? È perfettamente ragionevole discutere se la moneta unica abbia funzionato bene, se sia stata introdotta in modo adeguato con le necessarie politiche di accompagnamento e come si debba migliorarne la gestione. Ma tra questo e scegliere di ritornare al protezionismo anche in Europa e alle svalutazioni competitive tra monete europee c’è una bella differenza. Più in generale, quale sarebbe l’alternativa? Un’Europa di Paesi chiusi in se stessi che non conterebbero assolutamente nulla nell’equilibrio politico mondiale, stretti fra Putin e Trump, entrambi ben felici di vedere un ulteriore sgretolamento del progetto europeo?
Sarebbe utile che chi critica la globalizzazione ci spiegasse cosa vuole esattamente. Solo Donald Trump ce lo ha detto chiaramente: gli interessi americani davanti a tutto.
24 gennaio 2017 (modifica il 24 gennaio 2017 | 22:32)
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