Il «mondo è andato avanti» soleva ripetere Roland, il pistolero nella lunga (e fortunata) serie de La Torre Nera di Stephen King. E in effetti Brexit prima, l’elezioni di Donald Trump poi (ma anche, a ben vedere, il referendum costituzionale, almeno nella sua dimensione del No) hanno fatto sorgere diversi dubbi sulla nostra perdurante capacità di comprendere fenomeni sociali complessi, per giunta in divenire sotto i nostri occhi.
Non li comprendiamo prima che accadano, ma con tutta evidenza nemmeno dopo che sono successi se si pensa alla ridda di spiegazioni ex-post che vengono sistematicamente disconfermate dalle evidenze. Infatti, il fallimento non riguarda solo i modelli previsionali e i sondaggi su cui i primi erano basati, ma anche le previsioni (funeste) di affermati e ascoltati economisti su quello che sarebbe potuto succedere dopo una eventuale vittoria del «Leave» al referendum inglese o del tycoon americano. Alcuni danno la colpa ai «cattivi» dati su cui modelli e congetture si basavano, altri al pericoloso cortocircuito che si verifica ogni qual volta un lavoro scientifico viene offuscato dalla propria posizione ideologica, come notato recentemente su The Guardian, in cui al posto di descrivere la realtà come in effetti è, si finisce per dipingere un quadro impressionistico di quello che si vorrebbe che fosse. Altri ancora, infine, puntano il dito contro la bolla autoreferenziale in cui alcuni media sembrano oramai vivere, in cui le (medesime) idee tendono a ripetersi ad libitum.
Queste sono tutte spiegazioni interne ad uno specifico modello della politica, dell’economia e della società che in qualche modo mirano a tranquillizzare, spiegando che basterà stare più attenti, migliorare la qualità dei dati, risistemare alcune ipotesi e potremmo di nuovo conoscere e governare la realtà come se niente fosse. Torneremo ad avere esperti che ci spiegano il perché, ricette per vincere, dirette televisive che danno risposte chiare. Ma, ci siamo chiesti, cosa succederebbe se invece là fuori ci fosse una ragione diversa, meno rassicurante, che faccia riferimento ad un cambiamento qualitativo che rischia di rendere oscuro il rapporto tra contesto, situazioni e decisioni individuali e collettive, forse addirittura l’ordinamento stesso delle nostre preferenze? In altri termini, cosa accadrebbe se la realtà fosse che stiamo vivendo sulla soglia di una «Singolarità»?
Come molti appassionati di futurologia (o anche solo di film di fantascienza) ben sanno, con Singolarità si intende generalmente un punto nello sviluppo di una civiltà in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di capire e prevedere di coloro che vivono in un’epoca precedente. Questa Singolarità, tecnologica, è alla base di un movimento che ha fatto di Ray Kurzweil il suo principale divulgatore e propone una visione ottimistica, ipotizzando che il suo avvento possa risolvere molti dei problemi che attanagliano l’umanità in ambiti distanti come la salute, l’ambiente, l’energia, ecc. Ma, ovviamente, non tutti condividono questo ottimismo. L’idea rinvia alla nozione di un’altra Singolarità, quella gravitazionale (e anche qua, nulla di nuovo per gli appassionati ad esempio del film Interstellar): in prossimità di una Singolarità gravitazionale (come un Big Bang), i modelli della fisica classica, basati sulla relatività di Einstein, diventano inaffidabili, esattamente come accade con i modelli di previsione del futuro nel caso di una Singolarità tecnologica. L’ultima Singolarità possibile è quella matematica, tipica di funzioni non continue nello spazio dei numeri reali che per un determinato valore (la Singolarità, appunto) producono sviluppi asintotici.
La Singolarità è quindi sinonimo di una discontinuità nell’oggetto che vogliamo spiegare, che la narrazione usata fino a quel momento (nei tre casi citati, rispettivamente la funzione matematica, la teoria fisica, la conoscenza cumulata) non ci permette neanche di immaginare, meno che mai spiegare. Il problema, infatti,è che le persone ragionano generalmente in modo lineare, e questo ci impedisce di capire quei cambiamenti che lineari non sono affatto, come per l’appunto una Singolarità. In questo senso, e paradossalmente, dovremmo forse ringraziare i movimenti populisti, che, come ci è stato ricordato recentemente su The New Republic, segnalano nella loro sorprendente ascesa almeno qualche cosa di utile, ovvero «l’arrivo dell’inimmaginabile».
Abbiamo coltivato un meme (allora si diceva aforisma…) di Winston Churchill che sosteneva che la democrazia fosse la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora, viviamo l’assillo di chi la vuole sostituire con la democrazia diretta del sondaggio online, ma forse non ci siamo accorti che la Singolarità sociale che stiamo (forse) vivendo non è nelle forme della democrazia, ma in un salto attraverso un buco nero che costringerà tutte le scienze sociali a rifondarsi. In fondo, non è difficile coglierne le avvisaglie in una molteplicità di campi, al di là della politica, e dei vari post connessi (da quello sulla verità, a quello sulla stessa democrazia): i modelli organizzativi tradizionali collassano al confronto con start-up piccole e veloci; i modelli di consumo e acquisto prevedono sempre più una fruizione anche gratuita (o onerosa ma senza esclusione di altri dal consumo di ciò per cui abbiamo pagato); alcuni problemi sono più facilmente risolti sfruttando forme di crowdsourcing. Eppure i nostri modelli osservano questi fenomeni come se fossero delle eccezioni rispetto ad una norma… Insomma, parafrasando Lord Stark, sembrerebbe proprio che l’inverno stia arrivando nella nostra cittadella intellettuale fatta di certezze e coltivata gelosamente con cura nei decenni. E non abbiamo neanche un cappotto per coprirci.
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