Ci risiamo. Anche dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni di mezzo mondo nelle scienze, in lettura e in matematica (540 mila studenti di 72 diversi Paesi ed economie), l’Italia esce con le ossa rotte nel confronto non tanto e non solo con le solite tigri asiatiche che svettano a distanze siderali (Singapore in testa con 556 punti contro i 481 dei nostri ragazzi), ma anche con i nostri vicini di casa europei e, al di là dell’Oceano, pure con gli Stati Uniti e soprattutto il Canada, al quinto posto in assoluto con i suoi 528 punti, dietro a Giappone, Estonia e Finlandia. Mentre nella penultima edizione, incentrata sulla matematica, avevamo recuperato parecchie posizioni, in questa che era puntata sulle scienze (e per la prima volta è stata eseguita dai ragazzi al computer), fatichiamo a restare a galla. Gli studenti italiani di seconda superiore sono staccati di parecchie leghe da inglesi, tedeschi e francesi, sorpassati da spagnoli e portoghesi: solo la Grecia ci salva dall’umiliazione della maglia nera. E le beffa è che studiamo molto più degli altri: 50 ore in media (fra scuola e soprattutto compiti a casa quando non ripetizioni private) contro le 36 ore dei finlandesi dei miracoli e le 41 degli sgobboni giapponesi. E nonostante ciò andiamo molto peggio degli altri.
Galileo Galilei
Nessun miglioramento significativo nel corso di un decennio (appena 6 punti in più dalla prima rilevazione del 2006) con, al contrario, un significativo peggioramento nell’ultimo triennio (meno 13 punti). Nella patria di Galileo, il metodo empirico del «provando e riprovando» fatica a farsi strada: complice forse il peso della tradizione idealistica rispetto al positivismo di marca anglosassone, e più prosaicamente anche la cronica mancanza di laboratori scolastici. Il risultato medio degli studenti italiani è 50 punti sotto i finlandesi dei miracoli (l’equivalente di un anno e mezzo di scuola), una trentina dagli inglesi e dai tedeschi, 20 dai portoghesi, 15 dai francesi, 10 dagli spagnoli. Il Portogallo è protagonista di una vistosa rimonta scolastica. E comunque il trend è di quasi immobilità: abbiamo recuperato appena due punti.
Le cose non vanno affatto meglio nella lettura. Anche qui non ci muoviamo di mezzo punto e siamo fissi sotto la media Ocse. Anzi: siamo scesi di 5 posizioni dall’edizione scorsa e nel lungo periodo, cioè nei 15 anni intercorsi dalla prima rilevazione del 2000, abbiamo perso due punti. Mentre a sorpresa è proprio nella matematica che abbiamo fatto i maggiori progressi - anche grazie al potenziamento del curriculum dei nuovi licei e forse anche al fatto che ormai la metà dei ragazzi opta per lo scientifico, nella versione classica o in quella con l’informatica al posto del latino - tanto da collocarci al livello degli altri Paesi Ocse con un punteggio di 490. Appena la sufficienza: peggio di noi fanno solo spagnoli e greci. Ma almeno qui le distanze dagli altri europei si accorciano: i francesi sono tre punti sopra, gli inglesi appena due, gli americani sono sotto di venti. E comunque il trend è positivo: più 5 punti dal 2012 (più 24 dal 2003).
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Una delle domande principali, forse la prima, a cui ogni curriculum dovrebbe rispondere, è perché si studiano le scienze. Secondo il rapporto Ocse, l’atteggiamento dei professori è rivolto di più a formare possibili ingeneri, medici, biologi e altri «scienziati» che a diffondere una competenza, quella scientifica, che serve nella vita di ogni giorno, una lingua con cui i ragazzi e poi gli adulti possano interpretare qualsiasi fenomeno, dal riscaldamento globale alla dieta corretta. Anche per questo i professori italiani tendono a privilegiare un approccio teorico. E molto nozionistico, che punta più a soddisfare le aspirazioni di carriera futura, universitaria e lavorativa, che non l’apprendimento di un metodo scientifico, competenza che è invece molto più sviluppata nei sistemi con curriculum anglosassone. Si rivolgono dunque soprattutto a quanti sono già motivati da progetti futuri e anche da una predisposizione personale che non all’intero mondo degli studenti.
Una delle domande principali, forse la prima, a cui ogni curriculum dovrebbe rispondere, è perché si studiano le scienze. Secondo il rapporto Ocse, l’atteggiamento dei professori è rivolto di più a formare possibili ingeneri, medici, biologi e altri «scienziati» che a diffondere una competenza, quella scientifica, che serve nella vita di ogni giorno, una lingua con cui i ragazzi e poi gli adulti possano interpretare qualsiasi fenomeno, dal riscaldamento globale alla dieta corretta. Anche per questo i professori italiani tendono a privilegiare un approccio teorico. E molto nozionistico, che punta più a soddisfare le aspirazioni di carriera futura, universitaria e lavorativa, che non l’apprendimento di un metodo scientifico, competenza che è invece molto più sviluppata nei sistemi con curriculum anglosassone. Si rivolgono dunque soprattutto a quanti sono già motivati da progetti futuri e anche da una predisposizione personale che non all’intero mondo degli studenti.
L’idea di una carriera scientifica in genere piace molto ed è anche una delle motivazioni che animano gli studenti che risultano più bravi: un quindicenne su quattro si vede a trent’anni impegnato in un’attività che va dall’ingegneria, all’informatica e alla ricerca o alla medicina. Come anche per la matematica sono più i ragazzi (25 per cento) che le ragazze (20 per cento) a immaginarsi in questa veste, una tendenza che le relega al di sotto delle aspettative delle loro coetanee degli altri Paesi Ocse: il 23,9 per cento vuole puntare le proprie carte sulla scienza. Sebbene sia vero che il divertimento nell’apprendimento delle scienze porti i ragazzi (soprattutto) ma anche le ragazze a cercare più opportunità per studiare le scienze, non è vero il contrario: non è offrendo «soltanto» più opportunità di apprendimento che gli studenti si appassionano allo studio. Così come, secondo il rapporto Ocse, sebbene l’uso dei laboratori sia importante chi fa la differenza sono ancora una volta gli insegnanti e la loro preparazione sia nella materia che nelle tecniche di insegnamento. In giro per il mondo sono due su tre gli studenti che si spingono a dichiarare il loro interesse per le scienze ma in Italia tra la precedente rilevazione Ocse (2006) e quella che è stata appena pubblicata la passione per le materie scientifiche è scesa di un buon 10 per cento.
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