Il paradosso è servito. Il Paese più vecchio d’Europa rischia di dimenticarsi dei propri anziani. In Italia il 21,4 per cento della popolazione ha più di 65 anni. La media europea è del 18,5. L’invecchiamento, del resto, non si ferma: nel 2050, secondo le stime Istat, gli over 65enni arriveranno a quasi 22 milioni, praticamente una persona ogni tre. Eppure, denuncia l’ultimo rapporto dell’Irccs Inrca (l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico per anziani), tra i grandi Paesi europei il nostro è l’unico a non aver riorganizzato in maniera organica il suo sistema di continuità assistenziale. Con il risultato che il «peso» delle cure ricade in gran parte sulle famiglie. Oggi in Italia sono almeno un milione le persone che dedicano parte dei loro giorni (e, spesso, ore di notti insonni) ad assistere parenti non più autosufficienti. Circa 561 mila famiglie, registra il Censis, hanno dovuto erodere i propri risparmi, vendere l’abitazione di proprietà o contrarre debiti per farlo. Dietro percentuali e statistiche, ci sono nomi e cognomi: storie di rassegnazione, amarezza e profonda solitudine. Un centinaio ne sono arrivate a La Stampa da tutta Italia grazie a «L’occhio dei lettori».
Le due strade
Senza scomodare la Costituzione, una legge per il diritto alla salute c’è già. È la numero 833 del 1978. «Dovrebbe garantire le cure, qualsiasi sia la malattia e senza limiti di durata. Il problema è che spesso, specie quando si parla di anziani, non è così», spiega Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione promozione sociale, nata nel 2003 per tutelare i diritti delle persone non autosufficienti. Nel «modello» italiano ci sono due strade: la prima, più battuta, è la «domiciliarità»che secondo le stime dell’Auser, (l’Associazione per invecchiamento attivo) riguarda 2,5 milioni di anziani. La seconda è quella della «residenzialità», ossia l’insieme di strutture (pubbliche o private) in cui, secondo gli ultimi dati del 2013, sono ospitati 278 mila anziani autosufficienti e non.
Tra debiti e rassegnazione
In entrambi i casi, chiunque si trovi nella condizione di assistere un anziano non autosufficiente, sperimenta sulla propria pelle la carenza cronica di risorse pubbliche. Nel 2017 il Fondo per le politiche sociali ha perso 211 sui 311,58 milioni stanziati nell’ottobre 2016 mentre quello per le non autosufficienze è stato ridimensionato a 450 milioni (contro i 500 previsti). Fondi che ora il governo ha annunciato di voler ripristinare con gli introiti della “Wb tax”. Inoltre, la fotografia scattata sulle dichiarazioni dei redditi 2016 evidenzia che oltre il 70% degli anziani ha un reddito complessivo inferiore a 14.600 euro netti. Una badante in regola ha un costo medio di circa 15 mila euro l’anno. Per molti, è un lusso.
Le lista d’attesa infinite
Ma la situazione è ancora più grigia per chi sceglie la residenzialità. Le strutture private chiedono circa 3-4000 euro al mese. E per quelle pubbliche (in cui la quota a carico dell’assistito è di circa la metà) prima ancora del pagamento delle retta il problema è l’accesso stesso alla prestazione. I posti letto disponibili in 5 anni hanno subito una sforbiciata del 23,6%. E le liste d’attesa si ingrossano. «I tempi per accedere a una struttura - spiega ancora Maria Grazia Breda - spesso si protraggono per anni e chi è dentro rischia di restarci poco. Il quadro è desolante. Ogni giorno siamo sommersi dalle telefonate di persone che chiedono aiuto per opporsi alle dimissioni forzate dei propri cari».
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