giovedì 2 maggio 2019

IL RISVEGLIO DEL FILOSOFO DI SINISTRA. R. DE MONTICELLI, La sinistra e le dimissioni dei filosofi dal secolo dei diritti, IL MANIFESTO, 30 aprile 2019

 Che un filosofo si metta a ragionare di politica, per di più in termini di vasti orizzonti contemporanei, e sollevando problemi effettivi dell’oggi, è solo ammirevole: tanto più se il problema principale che affronta è precisamente la mancanza di idee, oltre che di ideali, della sinistra di oggi, italiana ed europea. Grazie dunque a Maurizio Ferraris di averci provato (Dovrebbero essere i Big Data a pagare il Welfare del futuro, il manifesto” 19/04). Aiuterà, il suo consiglio?


Credo che Ferraris abbia soprattutto inteso lanciare un’intelligente provocazione a pensare. Credo si possa essere d’accordo sulla tesi che la sinistra è (almeno in parte) in difficoltà non perché abbia mancato i suoi obiettivi, ma perché li ha conseguiti. Anche se certamente non una volta per tutte: e per amor di verità bisognerebbe aggiungere che il welfare oggi soffre terribilmente, a partire dalla sanità pubblica, che la scuola pubblica italiana è in via di smantellamento in ciò che aveva di buono, che la ricerca in Italia è finanziata sotto qualunque livello di decenza, che in troppi dei posti in cui un po’ di lavoro è rimasto, è proprio (anche se non solo) la sinistra (di governo e amministrazioni locali) che ha accettato di farlo pagare a tutti in termini di devastazione dell’ambiente e della salute; che al problema dell’integrazione dei migranti la sinistra non ha dedicato lo straccio di una proposta nazionale, e infine che evasione, corruzione e mafie gravano sul paese come e più di sempre, con qualche aiutino in termini di modica quantità di truffa fiscale, e se non è un obiettivo di “sinistra” quello di estirpare questi tre cancri allora non ha senso dire che i pochi elettori della cosiddetta élite rimasti a votare a sinistra lo fanno per ragioni etiche. Il che invece è verissimo.
Ma a questo bisogna aggiungere che – come i fatti evocati dovrebbero provare – i fini stessi in funzione dei quali, anche, il welfare doveva esistere, e cioè l’accesso dei più all’istruzione, alla consapevolezza dei propri doveri e diritti di cittadino, direi addirittura all’età adulta e alla responsabilità morale e civile, oltre che a una vita più libera e migliore, non sembrano affatto conseguiti. E del resto perché e come avrebbero dovuto esserlo, se prima di tutto hanno smesso di crederci – a proposito di etica – quei pochi o molti per i quali “sinistra” era il nome politico di un nucleo umanistico, universalistico e cosmopolitico di pensiero, cresciuto insieme con la modernità nell’età dei diritti e di tutte le loro generazioni – civili, politici, sociali, culturali, che erano andati a furia di battaglie e di tragedie a formare la cosa di tutti, la res publica che valeva la pena di difendere.
E allora, veniamo al dunque. La sinistra non ha perso gli ideali perché è rimasta a cercarli nei campi e nelle officine. Li ha persi perché quelli che di idealità si occupavano – cioè i filosofi, comunque vogliate chiamarli: intellettuali, scrittori, e poi la minoranza pigra e grigia degli accademici, noi insomma – hanno smesso di occuparsene. Maurizio Ferraris stesso ne è testimone, sia nella veste giovanile che in quella matura del suo postmodernismo. Ma abbiamo smesso proprio nel momento in cui la migliore eredità dei Lumi, e insieme la dolorosa cognizione dei valori sofferta nella prima metà del secolo scorso, fra guerre e totalitarismi, si fondevano nella ragion pratica incarnata dei grandi documenti normativi: le Dichiarazioni universali, le costituzioni postbelliche, le Carte europee dei diritti. I filosofi diedero le dimissioni dalla ragione pratica nel momento stesso in cui i migliori fra i nostri padri e madri erano riusciti miracolosamente a incarnarla in embrioni di istituzioni e norme, a provarla, per la prima volta nella storia, universalmente riconosciuta, almeno sulla carta.
Ma la lettera è morta, senza lo spirito. E lo spirito è evaporato quasi subito. Sono rimasti un pugno, fra i filosofi, gli spiriti liberi che non si fecero incantare dai cupi, feroci miti della guerra fredda: i Camus contro i Sartre, i Milosz contro i Lukacs, gli Spinelli e gli Olivetti contro i Banfi e i Kojève… e poi? Poi i francesi sdoganarono il Pastore dell’Essere, quello che prima aveva affidato ai carri armati di Hitler la guerra dell’Essere conto l’ente, e poi aveva fatto spallucce ai campi di sterminio (tanto gli ebrei, questi paradigmi della modernità capitalistico-finanziaria e sradicatrice, “si erano sterminati da soli”).
Con la modernità illuminista ce l’avevano anche gli eredi di Hegel e Marx (l’Illuminismo conduce ai campi di sterminio, copyright Horkheimer). E da questo felice incontro della più nera Selva nera con la dialettica hegeliana nacque il canone della filosofia cosiddetta continentale, quella che per cinquant’anni abbiamo continuato a insegnare perfino nelle scuole. Come sia andata a finire in Italia, per quel po’ di idealità (di filosofia) senza la quale la sinistra annaspa e muore, è cosa nota: ci fu la Coscienza Sprezzante, più realpolitica e decisionista di Carl Schmitt, che poi andò sfumando in teopolitica e teologia negativa. E ci fu la Coscienza Danzante, per le cui maschere senza volto valori e verità sono violenza, tutto è gioiosamente relativo e i fatti cosa da talebani: e Maurizio Ferraris ne è testimone. Così la sinistra rimase senza ragioni. Anzi senza ragione. Altro che campi e officine.
Adesso, nel ventunesimo secolo, all’umanità intera, liberata dal lavoro ceduto agli automi e ben nutrita dalla socializzazione del capitale documentale (qualunque cosa esso sia) potrebbe aprirsi la prospettiva “di una vita dedicata interamente alla produzione di valore”: cioè al consumo, al turismo, alla scrittura, perché ormai il valore si produce così, poi basta socializzarlo e il gioco è fatto.
Supponiamo che sia vero e possibile: sarebbe diverso da un incubo alla Brave New World, la Repubblica dei Felici, liberati da ogni angoscia di dover fare qualcosa di sé stessi senza per questo annichilire gli altri? Che poi è la questione che starebbe al fondo di tutto l’umanesimo e l’idealità e la ragione pratica e la filosofia. Meglio dimenticarsene. Intanto ci stiamo portando avanti: complice il nostro silenzio, si abolisce per decreto lo studio della storia, e in primo luogo del Novecento, obsoleto com’è, che poi tanto non si fa in tempo a farlo. Senza memoria, il pensiero forse è più intelligente, chissà. Certo è un pensiero spensierato.

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