Non sono un virologo. Quindi, a costo di sembrare eccentrico, mi guardo bene dall’intervenire su questioni mediche. In compenso, come filosofo mi intendo di logica, ed è con questa che intendo mettere in guardia contro l’operazione, del tutto illogica, di voler riaprire le scuole prima che sia stata vaccinata la gran parte della popolazione.
Neanche si è fatto in tempo a prendere atto del fatto che questa seconda ondata è stata il frutto di un’estate scellerata, in cui si sono vanificati gli enormi sacrifici compiuti da tutta la popolazione; né si è prestato ascolto a quegli statistici che già da settembre sconsigliavano una riapertura delle scuole, perché la curva rivelava un esito fin troppo prevedibile.
E adesso? Cosa si vuole fare adesso, riaprire le scuole sulla base di altissimi valori pedagogici e perfino simbolici, tanto sacrosanti quanto del tutto scollegati dal principio di realtà?! Intendiamoci, la didattica a distanza è una forma impoverita e altamente problematica di trasmissione del sapere, che qualunque insegnante vorrebbe lasciarsi alle spalle il prima possibile. Ma non al prezzo di sostituire la didattica a distanza con la distanza dalla didattica.
Ossia, non al prezzo di sconfessare i principi fondanti di una buona educazione sociale, a partire da quelli che ci hanno imposto sacrifici altissimi pur di evitare il dilagare del contagio: ascolto degli scienziati e dei competenti in materia, educazione civica, senso di responsabilità specie verso le persone più deboli, difesa della vita umana al di sopra di qualunque altro interesse pur legittimo (profitto, lavoro, divertimento, etc.).
Il governo ha tenuto la barra dritta fino ad ora, subendo costi alti in termini di consenso elettorale. Capisco bene che adesso non voglia correre il rischio di un colpo di grazia alla propria immagine, ma farsi prendere dalla fretta sarebbe controproducente. Specie se decisioni frettolose dovessero vanificare i sacrifici compiuti dagli italiani.
Piuttosto, la politica dovrebbe occuparsi del vero distanziamento sociale che grava sulla nostra società da ben prima della comparsa del virus. Mi riferisco a quella distanza generata da un tasso di disuguaglianza ormai inaccettabile in un paese moderno: sì, perché oggi il distanziamento sociale è fra chi ha uno stipendio garantito e chi deve guadagnarsi il pane giorno per giorno; fra chi beneficia di rendite e patrimoni che lo tengono comunque al sicuro, e chi rischia di veder andare in fumo anni di investimenti e lavoro in seguito all’emergenza e ai sacrifici imposti dal Covid-19.
In questo senso è fondamentale che il nostro governo, ma direi tutta la politica europea in generale, si metta intorno a un tavolo per studiare termini e modalità di ciò che ormai è inevitabile, se non si vuole andare incontro a una crisi sociale di dimensioni epiche: sto parlando di una tassazione forte e progressiva sulle transazioni finanziarie, cioè in generale su tutto quel mondo che (dati alla mano) si è notevolmente arricchito proprio durante il prolungato lockdown.
Quindi una tassa patrimoniale progressiva su quei capitali che superano una certa cifra, perché se di emergenza si tratta, e questa è tale da imporre sacrifici pesanti a tutti i cittadini, allora si deve ricorrere a misure altrettanto urgenti di giustizia sociale. Nella direzione di un contenimento di quel distanziamento sociale che, a differenza di quello imposto dal virus, rappresenta il frutto di scelte politiche del passato assai disgraziate.
Infine, ultimo ma non meno importante, i governi politici devono impegnarsi in vista di una distribuzione equa e capillare dei vaccini, che avvenga non con lo scopo principale di arricchire le multinazionali farmaceutiche, bensì di tutelare l’umanità oggi in pericolo.
A tutto questo dovrebbe pensare una politica seria e lungimirante, specie con 800 morti al giorno soltanto in Italia, prima ancora di occuparsi della prematura e pericolosa riapertura delle scuole. Che poi, se ci pensiamo bene, ciò che in questo tempo è richiesto a una politica degna di tale nome riguarda proprio alcuni di quei sacri principi che si insegnano a Scuola, come la giustizia (anche sociale), la verità (a dispetto di ogni convenienza di immagine, di ogni privilegio), la conoscenza, la scienza, la competenza.
Infine la virtù, che mai come oggi consiste soprattutto nell’essere buoni cittadini di uno scenario comunque collettivo, in cui il rispetto, la considerazione e la salute personale non possono essere declinati esclusivamente in termini egoistici. E non per una questione morale: se c’è una cosa che questa emergenza ci sta insegnando è che la nostra salute è strettamente connessa a quella degli altri, e ciò è vero non soltanto in termini sanitari, ma anche culturali, economici, esistenziali.
Ben prima di tornare a insegnare queste cose ai nostri studenti in presenza, facciamo piuttosto in modo di applicarle. Tanto per non dare loro l’impressione di riempirci la bocca con parole vuote.
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