Sono trascorsi tre anni dall’inizio della pandemia. Dovrebbe essere chiara la necessità di avere governi e sistemi di governance capaci di ricalibrare politiche sociali, occupazionali e di stabilizzazione. Lo spazio che intercorre tra famiglia, scuola, lavoro, vita sociale e società è sempre più sottile. L’inclusione diventa non più un obiettivo da raggiungere bensì da creare. Sistemi organizzativi che si avvitano su loro stessi e sulle persone che ne fanno parte non possono raggiungere nessuno, se non una piccola cerchia di soggetti. Il lavoro a distanza sarà un perno dell’economia e non esiste economia senza lavoro. Spesso questo particolare sfugge anche a economisti “esperti”.
Lavoreremo online da casa. Ciò richiede una rivisitazione architettonica degli spazi, delle sagome, degli edifici e delle città. Le famiglie e le loro case si stanno adattando alla meno peggio al lavoro quotidiano, ma né le aziende né tantomeno i governi sembrano aver capito le esigenze del lavoro remoto e relativo impatto in chiave antropologica.
Dobbiamo imparare a capire il nuovo ciclo di generazione del valore perché si spende e si disperde tanta energia anche lavorando da casa senza una corretta metodologia. Le città devono essere sempre più adatte a consentire quotidianamente incontri de visu e per questo devono essere ridisegnate. Le smart cities sembrano essere ancora una chimera e non è detto che siano una soluzione al problema, mentre non può esserci una società senza la possibilità di socializzare. Non esistono nuove forme di socializzazione. Esistono e stanno nascendo nuovi modi per stabilire un contatto, che è cosa ben diversa. L’essere umano ha bisogno di socializzare, sempre.
I danni sulla salute mentale e psicofisica delle persone iniziano a palesarsi. L’uomo è un animale da adattamento? Fino ad un certo punto e con grande conflittualità. Non si può chiedere di far partire a spinta una vecchia macchina rivolgendosi a persone con 40 di febbre, non né hanno la forza e non possono averla. Deve guarire prima il sistema Paese usando tecnologia e innovazione. “Va bene anche la ruota” per ridurre al minimo l’attrito con il suolo. Solo dopo aver fatto questo si potrà chiedere a persone con 38 di febbre, non 40, di spingere la macchina e farla ripartire.
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