“L’esaurirsi, graduale ma sicuro, delle materie prime e delle fonti energetiche così come, più in generale, il disastro ecologico, non sono che la conseguenza diretta di questo modello di sviluppo e l’ostacolo che esso incontra nel momento in cui, per la prima volta, ‘costi’ che c’erano sempre stati assumono una incidenza direttamente valutabile per il capitale. Si tratta di una frontiera per ora elastica, ma oltre la quale si indovina ormai il limite invalicabile o almeno l’irrazionalità ormai insopportabile di uno sviluppo fondato sullo sfruttamento materiale della natura come unico alimento della civiltà, anzi come copertura di una disgregazione crescente della vita sociale e collettiva (...) per 40 anni il capitalismo occidentale ha trovato in alcuni meccanismi di sfruttamento lo strumento per allargare la base di consenso al suo interno. Oggi quei meccanismi manifestano il loro limite e il sistema verrà costretto sia a forzarli in modo violento sia a riproporre una logica più dura, un’espansione più diseguale, un potere più repressivo (...) ciò a cui stiamo per molti segni approssimandoci è una delle diverse crisi storiche al di là delle quali il modo di produzione capitalistico è rinato dalle proprie ceneri con volto nuovo e inattesa vitalità, oppure segna il limite estremo oltre il quale uno sviluppo capitalistico è impossibile nel senso che si identifica immediatamente e senza residui in regresso e catastrofe (...) ciò di fronte a cui ci troviamo non è un semplice periodo di ristrutturazione e, grazie ad essa, di rilancio del sistema (un periodo simile a quello degli anni Cinquanta), ma una crisi di tutto un equilibrio economico, sociale, culturale al di là della quale lo sviluppo capitalistico potrebbe sul serio riprendere solo dopo uno sconvolgimento profondo, lungo e doloroso (...)”
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