Le opinioni e le previsioni riguardo alla situazione in Medio Oriente sono molte, ce ne è davvero per tutti. La rapidità con la quale Israele è entrato in aperto conflitto con il Libano ha poi spiazzato molta gente e quindi le interpretazioni si stanno moltiplicando. Tuttavia, quanto sta succedendo fa parte di una logica abbastanza chiara che ha telecomandato gli avvenimenti dell’ultimo anno nel Medio Oriente.
La genesi dello spettacolare attacco di Hamas del 7 ottobre nasce dai cambiamenti radicali in atto nel mondo sunnita, ed in particolare in Arabia Saudita e nei paesi del golfo Persico. Ed è per questo che possiamo tracciare un parallelo con l’11 settembre. Entrambi, infatti, miravano a colpire il nemico lontano, ossia gli Stati Uniti e Israele in quanto occidentali, per attaccare quello vicino, i regimi musulmani corrotti in quanto pro-occidentali nel primo attentato, e quelli attuali in quanto indifferenti alla causa palestinese e islamista nel secondo.
Osama bin Laden aveva reagito con sdegno all’arrivo delle truppe americane in Arabia Saudita durante la prima guerra del golfo e dopo averlo manifestato alla corona fu espulso dal paese quale ‘persona non grata’. Hamas – che da quando i tradizionali sponsor sunniti avevano smesso di inviare ‘aiuti’ per la causa era rimasto con un unico sponsor l’Iran– aveva condannato la politica di conciliazione dei paesi del golfo e dell’Arabia Saudita con Israele, politica scaturita dagli accordi di Abramo stipulati durante l’amministrazione Trump. L’attacco del 7 ottobre voleva scuotere l’indifferenza verso la causa palestinese facendo leva sulla popolazione saudita e su quella del Golfo e su tutto il mondo musulmano.
La spettacolarità dei due attacchi è significativa, solo una prova di forza di queste dimensioni era in grado scardinare le politiche e gli equilibri esistenti. Nel primo caso, l’11 settembre, ha funzionato nel secondo caso no. All’indomani dell’11 settembre c’e stata una sollevazione, un fermento che ha attraversato il mondo sunnita in particolare e quello musulmano in generale, e la nascita di nuove organizzazioni armate come quella guidata da al Zarqawi, le succursali locali di Qaeda locali fino all’ascesa dello Stato Islamico si sono verificate perché da questa galassia qualcuno le ha generosamente finanziate. Senza il denaro degli sponsor nessuno di questi gruppi avrebbe potuto esistere.
Oggi quegli sponsor sono stati neutralizzati non dalla guerra contro il terrorismo di Bush e dei suoi successori, ma dal processo di modernizzazione del mondo sunnita ricco. Processo concepito ed implementato da Mohamed bin Salman (MBS), l’uomo che de facto governa l’Arabia Saudita e sta ridisegnando la cultura dell’intera regione.
Il fallimento della provocazione di Hamas, l’aver calcolato male, sottovalutato il potere di MBS e la seduzione dei piaceri di una vita occidentalizzata – si pensi alle partite di calcio dove anche le donne possono andare allo stadio –, ha dato ad Israele un’opportunità unica.
Intelligente e machiavellico Netanyahu nel saperla sfruttare al massimo, ad esempio con la scomparsa di Gaza e l’altissimo numero di morti, tutti palestinesi naturalmente, e da qualche giorno l’invasione del Libano per tagliare la testa agli Hezbollah. Intelligente e machiavellico anche nel capire come procedere, allargando il conflitto, sfruttandolo a proprio vantaggio e così facendo mettendo all’angolo l’Iran senza che nessuno lo fermasse. Oggi, lo sponsor di Hamas si trova ad un passo dalla guerra totale con Israele, una situazione che assolutamente non desidera né desiderava un anno fa.
Come la reazione dell’11 settembre così quella del 7 ottobre finirà per ridisegnare la mappa geopolitica del Medio Oriente. Bush figlio più volte aveva dichiarato di non volere creare un nuovo stato in Iraq e in Afghanistan, di voler portare la democrazia americana, l’elisir della felicità, ma erano solo parole. In entrambe le nazioni l’intervento armato ha spazzato via il passato per sostituirlo ad un presente, certamente non democratico, ma diverso. Il prezzo: milioni di morti, milioni di morti civili. Fenomeno analogo potrebbe avvenire oggi. Intanto come l’Occidente neppure ricorda i morti della guerra contro il terrorismo di Bush, così dimenticherà velocemente quelle di Gaza e del Libano.
Forse anche il mondo musulmano avrà la memoria corta questa volta. I possibili scenari geopolitici futuri della regione a seguito del conflitto israeliano, ossia Gaza, il Sud del Libano e naturalmente l’Iran, potrebbero coincidere con il piano a lungo termine di modernizzazione e guida dell’Arabia Saudita. Di certo quest’ultima e il resto dei paesi del Golfo vedrebbero positivamente un cambio di regime nella repubblica islamica iraniana.
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