Credo di aver frequentato la villa liberty, Villa Mirafiori, che ospita il dipartimento di Filosofia della Sapienza di Roma negli stessi anni di Alessandro Giuli. Non ci siamo mai incrociati. Frequentavamo ambienti differenti. D’altra parte, quel luogo ha contribuito a formare molte persone diverse. Da lì viene, per esempio, Simone Verde, il nuovo direttore degli Uffizi, a cui arriva dopo una carriera internazionale e nazionale di altissimo prestigio. Chissà, in un mondo alternativo a quello tragicomico in cui viviamo forse sarebbe al posto di Giuli.

IL DISCORSO DI GIULI


Stenteranno a crederci gli ascoltatori dello sproloquio del neo ministro durante la sua audizione. Ma esiste ed è esistita una cultura e una filosofia, in Italia, dove il pregio è parlare chiaro, con il linguaggio di tutti i giorni, rivolgendosi a tutti. Magari utilizzando il linguaggio comune con precisione, definendo meglio i termini ambigui.

Parlare chiaro è anche pensare con chiarezza, peraltro. In quella cultura, dove non ci sono alcuni aedi di certa sinistra che Giuli corteggia, come Pasolini, ma vive la tradizione migliore dell’illuminismo italiano, non si cita, né a proposito né a sproposito. Quella cultura parla il linguaggio piano della nostra Costituzione.

E, per i bastian contrari di sinistra che già si affrettano a dare il benvenuto a un innalzamento del livello del personale politico: no, non è questione di complessità, non è questione di semplificazione. È possibile, e doveroso, esprimere pensieri complessi con un linguaggio piano, credetemi. Che l’oscurità compiaciuta torni in bocca ai politici non è un guadagno rispetto al rutto qualunquista.

La filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero? Questa vaghezza l’ha detta Hegel, e Giuli l’ha storpiata. Ma c’era bisogno di ridirla? Se vuoi dire qualcosa del genere fallo, ma spiega perché è importante per quello che vuoi fare al ministero che dirigi.

Nella cultura migliore di questo paese, quella dove l’esercizio della ragione e della chiarezza e l’attenzione alle cose reali più che alle parole erano valori, non si usano -ismi a vanvera. E soprattutto, non si parla di tutto, non si fa una premessa che riguarda l’universo per arrivare poi a come si spenderanno i soldi per finanziare cinema e musei.

Il difetto di Giuli non è solo della sua parte, si badi bene. Il vizio della citazione, di partire dall’analisi della storia e della geopolitica degli ultimi due secoli, squadernando il pantheon dei maestri anche per prendere un caffè al bar, era un tic di certa sinistra che ancora circolava (e forse circola) negli anni Novanta quando Giuli era a Villa Mirafiori. In questo senso, Giuli è ecumenico. Prende il peggio di tutti gli schieramenti.

Questo atteggiamento fa passare l’idea che una persona colta debba necessariamente parlare in maniera incomprensibile, citando molte autorità, inanellando etichette e astruserie. Suggerisce che le scelte politiche debbano derivare da alate metafore e audaci ricostruzioni del presente e non da valori e ideali chiari e netti. Tradisce, soprattutto, un dolente senso di inferiorità misto ad arroganza. Giuli si scusa per la premessa “teoretica”. E scusandosi vi allude, la annuncia, se ne pavoneggia. E al tempo stesso si schermisce. E senza saperlo, forse, si schernisce.

Giuli è stato attaccato per non avere (ancora) la laurea. Chi lo ha difeso ha osservato che non è certo una laurea a fare una persona di valore. Era una difesa giusta. Che Giuli ha indebolito, mostrando una subalternità al tempo stesso tremebonda e arrogante.

Questa storia dell’egemonia culturale sta assumendo toni da psicodramma. Lasciando perdere Gramsci, altro nume di tutti, mal compreso e mal utilizzato da chiunque, ci sarebbe da dire questo: volete fare cultura? Volete avere una qualche rilevanza nel mondo delle idee? Fatelo. Abbiate delle idee chiare, comprensibili, nuove, condivisibili. Difendetele con argomentazioni convincenti. Presentatele in maniera chiara, che chiunque possa capire. Soprattutto in maniera che chi subirà le conseguenze delle vostre idee possa comprendere, per decidere se seguirvi o contrastarvi. Nascondersi dietro le parole è tattica debole del potente insicuro, che cerca di fregare il prossimo. Una figura eternamente italiana di cui forse sarebbe ora di liberarsi.

Ministro, dica una cosa chiara. Anche di destra, ma chiara.

E invece tutte queste mosse della destra al governo nella politica culturale sembrano sempre una gara di adolescenti passivo-aggressivi che vogliono essere ammessi nel circolo di chi conta, di chi ha successo, di chi seduce. Sembra sempre una gara a chi ha letto di più e mostra meglio le sue letture. Ministro, a Villa Mirafiori eravamo giovani. È ora di crescere.