giovedì 21 novembre 2024

ELEZIONI REGIONALI E ASTENSIONISMO. CRISI DELLA DEMOCRAZIA E SUO SUPERAMENTO SECONDO VELTRONI. M. FAGOTTO, 21.11.2024

 Dopo le elezioni regionali in Umbria ed Emilia Romagna, il dato più incontrovertibile è stato l'aumento dell'astensionismo, tendenza in atto ormai da anni, ma confinata finora a qualche riflessione fra istituti di rilevazione dei flussi elettorali per poi finire nel dimenticatoio in quattro e quattr'otto.

   Un editoriale di W. Veltroni sul Corriere della sera del 20.11.2024, Se declina la voglia di votare, secondo la prassi sopra ricordata scritto a 2 giorni dallo spoglio, lo possiamo dividere, non per dargli nobiltà filosofica che non ha, in una pars destruens e in una pars construens.

La prima, come sempre, è quella più facile da redigere, basta mettere insieme il peggio che è davanti agli occhi di tutti. Per cui lascerei da parte questo punto per soffermarmi, invece, su due aspetti.

   Il primo riferito al quadro che Veltroni ricostruisce relativo alla disaffezione cresciuta nei decenni nei confronti dei tre appuntamenti elettorali più importanti per un europeo del XXI secolo: le elezioni europee (“dal 1979, 88,6%, si è scesi costantemente fino al 48,3”); le elezioni politiche (dal 1948 al 1979 affluenza al 90%! Per poi scendere fino al 2008, quando comunque andava a votare l'80%. Infine, dulcis in fundo, le elezioni comunali in cui “si è passati dal 78,4% degli anni fra il 1995 e il 1999,  al 53,5%”.

Il che vuol dire fallimento dell'Europa, dei partiti politici e della grande rivoluzione, anche questa una delle promesse post 1989, dei sindaci direttamente eletti dal popolo (forse che anche questa bella trovata di quegli anni non è stata foriera di quel Populismo che oggi domina indisturbato?).

   Non c'è una sola parola a riguardo del fatto che la graduale disaffezione elettorale registratasi nei decenni, sia da addebitare all'infelice idea di imbarcarsi tutti, sinistra fra i primi, sul vascello che solchera’ i mari nella grande corsa all'arricchimento e allo sfruttamento esteso su scala globale! In questa nuova riedizione di quella “fiumana del progresso” tratteggiata, su piccola scala e per un'Italia appena nata, da Verga, alla fine dell'Ottocento, quel “progresso a tutti i costi” di cui parlerà,  nel 1972, Umberto Eco prima ancora di Pasolini, per restare ancora all'interno del nostro Paese che, già in quegli anni, stava decidendo di andare a sbattere contro gli scogli dell'avidita’ e dell'egoismo di matrice americano-capitalistica. 

   Basterebbe andare a vedere i programmi dell'UE e dei partiti politici italiani fra Settanta e Ottanta per capire cosa ci saremmo dovuti aspettare qualche decennio dopo.

Perché,  dagli anni Novanta in poi, questa accelerazione della rinnovata ed eterna corsa all'oro fu agevolata da altrettante “riforme modernizzatrici", su scala nazionale, tipo nuovo sistema elettorale maggioritario e nuovo sistema di elezione del sindaco. Cosicché, nel primo caso, fine del proporzionale ha voluto dire fine della possibilità di sentirsi rappresentati da qualche partito specifico di cui condividere una visione della società e della vita; a vantaggio di cosa? Della governabilità, si disse e si continua a pensare. Ma la governabilità è più importante della possibilità di sentirsi parte di un tutto? 

Nel secondo, invece, si è rafforzata l'idea che la politica funzionasse meglio se messa nelle mani del Primo Cittadino e non di collettivi collaboranti (si va ancora dietro all'idea del Capo e siamo prossimi al delirio dell'idea del premierato e del premier direttamente eletto dal popolo!). In entrambi casi, nessuna strategia per migliorare proprio quella partecipazione senza la quale, scrive Veltroni, la democrazia si trasforma in oligarchia.

   Su scala europea, gli anni Novanta sono gli anni, invece, del famigerato trattato di Maastricht (1992-1993) e della progressiva cessione di sovranità da parte dei singoli stati alle volontà della comunità europea.

Anche in questo caso, l'inizio di una evidente tendenza a pensare che la democrazia si stesse tramutando in una Burocrazia sovrastatale, in un Super Potere impersonale che avrebbe posto il comune mortale cittadino in una posizione di totale sudditanza e insignificanza, come i personaggi di Kafka che  inutilmente chiedono udienza agli inaccessibili inquilini del Castello della Legge.

   Da lì tutta una corsa verso la moneta unica (1999) e la costruzione di un immenso Mercato dove potessero circolare liberamente persone e cose, come disse baldanzoso in quei giorni l'oligarca Carlo De Benedetti.

Non solo. In contemporanea la Nato riconfigurava i confini geopolitici all'interno del territorio post-sovietico, con le guerre jugoslave (1991-2001) e l'allargamento della stessa Nato includendo alcuni dei Paesi post-comunisti da cui sarebbero provenute cinicamente nuove opportunità di arricchimento per i soliti magnati delle multinazionali grazie alla manodopera a basso costo, alle delocalizzazioni, all'appoggio di sindacati e governi asserviti, di destra e di sinistra. Avviando, al tempo stesso, quei processi di lento impoverimento ed estinzione della classe operaia, non più destinata a farsi classe media come nel trentennio precedente (mentre il nuovo potere al Cremlino dava inizio ad una sequela di interventi e guerre in diverse regioni del vasto territorio, le più famose e sanguinose in Cecenia, fra il 1994/1996 e il 1999-2009).

   Anche per quanto riguarda la “destrutturazione di tutte le forme di intermediazione come partiti, sindacati e informazione” Veltroni non indica alcuna causa alla base del fenomeno limitandosi a dire che la loro scomparsa ha trasformato “il cittadino in un follower passivo e sfiduciato, privo di voce e persino della volontà di votare”. Appunto: e la loro scomparsa a cosa è stata dovuta? Di partiti e sindacati abbiamo detto. Dell’informazione si potrebbe dire della sua trasformazione televisiva e telematica in merce e del sistema complessivo ridotto e degradato a infotainment. Il tutto avvenuto, ancora, fra gli anni Ottanta (le tv di Berlusconi, a cui fu permesso, seppur in palese conflitto di interessi, di diventare anche capo di almeno 4 governi, fra il 1994 e il 2010) e Novanta (diffusione dei pc e di Internet sostenuta da una campagna di enfatizzazione per fini commerciali) del secolo scorso.

   La pars construens si limita ad una sorta di auspicio di quello che la democrazia dovrebbe essere: più bipolare e decidente; capace di “rigenerare forme di partecipazione diffusa e nuova sussidiarietà”; sistema in cui si distingua fra programmi e valori.

Anche in questo caso nessun approfondimento, anche minimo co nsiderati gli spazi di un articolo. Semmai il testardo accento messo ancora sul bipolarismo e sulla “democrazia decidente”, più cause dell'abbattimento della partecipazione che non certo espedienti per una sua rinascita.

In particolare con la democrazia decidente siamo rispediti indietro ai tempi dell'Ulivo, quando si lamentava il fatto che i regolamenti parlamentari concedevano troppo tempo ai parlamentari per parlare a tutto danno della velocità decisionale del sistema. Il fatto è che il Parlamento si chiama così perché chi vi siede ha il compito di rappresentare certe posizioni e confrontarsi con altre. Perché fosse altro da questo, si sarebbe dovuto chiamare non Parlamento, ma Camera e senato delle Decisioni. Ci si dimentica, così,  che il sistema del parlamento repubblicano doveva rifondare il parlamento fascista ridotto a “manipolo per bivacchi” secondo l'espressione mussoliniana del 1922:


“Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti.

Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.»



Sappiamo ormai che, al primo tempo, sarebbe seguito un secondo tempo in cui quell'intenzione, semplice minaccia iniziale, sarebbe diventata tragica realtà.

Ma andiamo avanti.

 Che la democrazia parlamentare dovesse trasformarsi in decidente lo avrebbe deciso la Modernità che è tale solo se veloce, complessa e capace di garantire tanta libertà, negativa e positiva. È la tesi di una comunicazione risalente al novembre del 1996. Autore l'allora neo presidente della Camera, Luciano Violante. 

Anni immediati alla discesa in campo di Berlusconi, allo scompaginamento dei partiti della prima Repubblica per opera dei magistrati milanesi, alla riforma del sistema elettorale e alla nascita del bipolarismo, nel 2024 ancora difeso da Veltroni. Sono gli anni della Modernizzazione, in cui questa parola assume un connotato magico nonostante i tanti studi contemporanei che ne stavano mettendo in luce crepe vistose e rischi colossali (un autore per tutti, A. Giddens).

   Ma tant'è la dabbenaggine dei politici di quegli anni, già travolti da una Globalizzazione Economica tempestosa e deregolamentata, questa sì il vero motore e volto demoniaco della modernità evocata, al servizio della quale la politica si stava, di fatto, mettendo per agevolarla nello svolgimento della sua missione civilizzatrice, quella di appagare, cioè, la “sua vigoria straordinaria, quasi animale” come Violante definisce la società  partorita dal capitalismo trionfante del post 1989 e costituita, ormai, da famelici cittadini che vogliono fare, desiderano realizzarsi, vogliono competere economicamente per soddisfare bisogni e desideri esclusivamente individuali (con buona pace del Berlinguer che, 20 anni prima, aveva messo in guardia proprio da questa deriva).

Per cui questa sarebbe la democrazia decidente: un sistema politico alle strette dipendenze della volontà di potenza economica, restia a lasciarsi intrappolare da lacci e lacciuoli legislativi e da corpi intermedi per poter dar sfogo alle sue pulsioni più estreme ed im-mediate, non più inter-mediate da sindacati, partiti,  intellettuali che Veltroni ricorda come scomparsi, ma non si sa perché. 


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