G8, l'ex dirigente della Mobile
condannato a cinque anni racconta il blitz in un libro
roma
Sui fatti della Diaz, esiste ormai una verità giudiziaria cristallizzata dalla Cassazione. Esiste poi un’altra verità, quella delle convinzioni. E qui continua, come nulla fosse, il muro contro muro. Di qui i buoni, di là i cattivi. Uno dei «cattivi» per definizione è Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto Mobile di Roma, il capo dei celerini. Ebbene, Canterini, che s’è beccato cinque anni al processo, ha appena licenziato un libro-intervista (Gianmarco Chiocci, Simone Di Meo - «Diaz» - Imprimatur editore) per raccontare la «sua» Diaz. Ed è una sorpresa perché il duro Canterini si dimostra molto più indulgente per i manifestanti che per i suoi ex colleghi. Racconta così la carica che guidò personalmente in piazza Alimonda subito dopo che si era sparsa la notizia che un giovane, Carlo Giuliani, era stato ucciso e si stava concentrando lì una moltitudine di contestatori animati da propositi di vendetta. «La carica fu obiettivamente pesante. L’immensa processione di via Tolemaide arretrò per la prima volta, le ambulanze raccattarono i percossi, diedi l’ordine di retrocedere».
Canterini ha una sua versione da difendere. I suoi settanta uomini entrarono alla Diaz assieme a centinaia di altri poliziotti sconosciuti, lì confluiti non si sa come e perché, in una confusione inverosimile. «Facce stanche, affaticate, assetate di sangue e di vendetta. Gente in fibrillazione, completamente alla frutta per quei due giorni d’inferno, che scalpitava. Un’accozzaglia di divise blu».
Era di questa folla impazzita di poliziotti che parlò al processo il braccio destro di Canterini, il funzionario Michele Fournier. Erano loro che diedero vita alla «macelleria messicana» nel corso dell’irruzione. Per quelle parole coraggiose, il celerino Fournier è diventato paradossalmente un’icona dei no global. Allo stesso tempo è odiato dai colleghi. Ebbene, giunti al momento della verità, Canterini difende il suo vice con parole che piaceranno molto ai no global e meno all’istituzione. «In questa storia l’unico che ha portato la croce trovando la forza di rompere la consegna al segreto è stato Fournier. Non sto qui a giudicare, a dire se ha fatto bene, se ha fatto male, se doveva dirlo prima, se il segreto se lo doveva portare nella tomba perché siamo tutti una famiglia e i panni sporchi non si lavano all’aperto. Per alcuni colleghi quel funzionario è diventato un Giuda. Ma non è un Giuda».
E conclude, Canterini, con un giudizio lapidario su come un’operazione nata male finì malissimo: «La Diaz fu una rappresaglia scientifica alla figuraccia mondiale per le prese in giro dei black bloc. Un tentativo, maldestro, di rifarsi un’immagine e una verginità giocando sporco, picchiando a freddo, sbattendo a Bolzaneto ospiti indesiderati assolutamente innocenti».
Canterini ha una sua versione da difendere. I suoi settanta uomini entrarono alla Diaz assieme a centinaia di altri poliziotti sconosciuti, lì confluiti non si sa come e perché, in una confusione inverosimile. «Facce stanche, affaticate, assetate di sangue e di vendetta. Gente in fibrillazione, completamente alla frutta per quei due giorni d’inferno, che scalpitava. Un’accozzaglia di divise blu».
Era di questa folla impazzita di poliziotti che parlò al processo il braccio destro di Canterini, il funzionario Michele Fournier. Erano loro che diedero vita alla «macelleria messicana» nel corso dell’irruzione. Per quelle parole coraggiose, il celerino Fournier è diventato paradossalmente un’icona dei no global. Allo stesso tempo è odiato dai colleghi. Ebbene, giunti al momento della verità, Canterini difende il suo vice con parole che piaceranno molto ai no global e meno all’istituzione. «In questa storia l’unico che ha portato la croce trovando la forza di rompere la consegna al segreto è stato Fournier. Non sto qui a giudicare, a dire se ha fatto bene, se ha fatto male, se doveva dirlo prima, se il segreto se lo doveva portare nella tomba perché siamo tutti una famiglia e i panni sporchi non si lavano all’aperto. Per alcuni colleghi quel funzionario è diventato un Giuda. Ma non è un Giuda».
E conclude, Canterini, con un giudizio lapidario su come un’operazione nata male finì malissimo: «La Diaz fu una rappresaglia scientifica alla figuraccia mondiale per le prese in giro dei black bloc. Un tentativo, maldestro, di rifarsi un’immagine e una verginità giocando sporco, picchiando a freddo, sbattendo a Bolzaneto ospiti indesiderati assolutamente innocenti».
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