I partiti non vedono l'ora di riprendersi la scena, rimandando a casa i tecnici. Ma la complessità del presente è talmente grande che non si può pensare a un semplice ritorno al passato. Ecco perché
L'ansia diffusa in tutti i partiti di tornare il più rapidamente possibile all'esercizio della propria "sovranità" può essere pessima consigliera. Non solo, e non tanto, perché finisce con l'indebolire giorno dopo giorno l'efficacia dell'azione del governo Monti (che già, almeno grazie ad alcuni suoi "interpreti", ci mette del suo a non... rafforzarsi), ma perché evidenzia una profonda inconsapevolezza della fase storica che attraversiamo, e un'ancora più profonda avversione, da parte della nostra classe politica, a volerla affrontare con realismo e disincanto.
Gli appelli, che a volte suonano quasi disperati, al "rimetti la politica al comando", così come le patetiche quanto scolastiche distinzioni tra "tecnici" e "politici", nascondono l'estrema difficoltà che si incontra, soprattutto in Italia, ma un po' in tutta Europa, a comprendere come ormai la prassi politica da "tecnica architettonica" complessiva, da "arte regia", può funzionare ormai soltanto come ganglio del sistema o della rete dei processi economico-finanziari-scientifico-tecnici, che dominano da tempo le nostre vite. Al loro interno la politica, se ancora così vogliamo chiamarla, è destinata a svolgere importanti funzioni, ma essenzialmente di carattere amministrativo-distributivo. E anche, in determinate situazioni, di "freno" agli effetti socialmente più laceranti che quei processi possono produrre, se lasciati a se stessi, se "scatenati".
Ma per poterlo fare, è necessario che essa li conosca dall'interno, ne sia in qualche modo partecipe. Altro che autonomia! Tanto più la politica futura conterà, quanto più sarà coinvolta nella "tecnica" e sarà in grado di assumerne, criticamente, il punto di vista. In ciò consiste il significato storico dell'esperimento Monti che, per questi stessi motivi, è esattamente l'opposto di una parentesi. In questo senso esso andrebbe valorizzato.
Il pericolo oggi non è perciò rappresentato da sgangherati populismi protestatari, dall'"anti-politica", e via chiacchierando, impotenti ad assumere qualsiasi rilievo nell'effettiva "amministrazione" della crisi, ma dal "combinato disposto" dei politici che pretendono di conservare la loro antica "aura" di autonomia e sovranità, e degli ingenui tecnocrati che ritengono "leggi di natura" ciò che è frutto di decisioni e conflitti di interesse su scala globale. E all'interno del governo Monti alcuni sembrano appartenere alla nobile schiera di coloro che idolatrano la propria, specialistica "razionalità" come l'unica esistente, e gli altri punti di vista come il regno dell'irrazionale. Costoro sono i migliori alleati dei nostalgici del "politico al comando".
Ah, si sapesse approfittare, invece, di questi convulsi mesi pre-elettorali per iniziare a costruire una "coalizione" tra politici-tecnici capaci di amministrare-distribuire e tecnici-politici in grado di comprendere storicamente presupposti e possibili sviluppi del "salto d'epoca"! Questo sì sarebbe il presupposto di un vero, nuovo riformismo! Ma tutti i cantieri aperti appaiono tremendamente inadeguati alla bisogna. Quello a destra, più che a un cantiere, somiglia a una rotta disordinata (da cui emergeranno magari, di nuovo,velleità plebiscitario-populistiche). Quello Pd annaspa tra ulivismi e le nevi di un tempo delle socialdemocrazie. Al centro, tutti sembrano attendere che cosa farà Monti, ma intanto ciò che appare sono disiecta membra in competizione tra loro: l'appello ai "moderati" di Casini, in un Paese che avrebbe più bisogno di rivoluzioni che di vie di mezzo; il liberalismo di Italia futura, "offerta" illuministica, con pretese malcelate di autosufficienza, pochissimo incline a mediazione e confronto. Tutti sembrano orfani del grande contenitore berlusconiano, alla tardiva caccia, ora, di contenuti. Le scosse future non saranno ancora per nulla di assestamento.
Gli appelli, che a volte suonano quasi disperati, al "rimetti la politica al comando", così come le patetiche quanto scolastiche distinzioni tra "tecnici" e "politici", nascondono l'estrema difficoltà che si incontra, soprattutto in Italia, ma un po' in tutta Europa, a comprendere come ormai la prassi politica da "tecnica architettonica" complessiva, da "arte regia", può funzionare ormai soltanto come ganglio del sistema o della rete dei processi economico-finanziari-scientifico-tecnici, che dominano da tempo le nostre vite. Al loro interno la politica, se ancora così vogliamo chiamarla, è destinata a svolgere importanti funzioni, ma essenzialmente di carattere amministrativo-distributivo. E anche, in determinate situazioni, di "freno" agli effetti socialmente più laceranti che quei processi possono produrre, se lasciati a se stessi, se "scatenati".
Ma per poterlo fare, è necessario che essa li conosca dall'interno, ne sia in qualche modo partecipe. Altro che autonomia! Tanto più la politica futura conterà, quanto più sarà coinvolta nella "tecnica" e sarà in grado di assumerne, criticamente, il punto di vista. In ciò consiste il significato storico dell'esperimento Monti che, per questi stessi motivi, è esattamente l'opposto di una parentesi. In questo senso esso andrebbe valorizzato.
Il pericolo oggi non è perciò rappresentato da sgangherati populismi protestatari, dall'"anti-politica", e via chiacchierando, impotenti ad assumere qualsiasi rilievo nell'effettiva "amministrazione" della crisi, ma dal "combinato disposto" dei politici che pretendono di conservare la loro antica "aura" di autonomia e sovranità, e degli ingenui tecnocrati che ritengono "leggi di natura" ciò che è frutto di decisioni e conflitti di interesse su scala globale. E all'interno del governo Monti alcuni sembrano appartenere alla nobile schiera di coloro che idolatrano la propria, specialistica "razionalità" come l'unica esistente, e gli altri punti di vista come il regno dell'irrazionale. Costoro sono i migliori alleati dei nostalgici del "politico al comando".
Ah, si sapesse approfittare, invece, di questi convulsi mesi pre-elettorali per iniziare a costruire una "coalizione" tra politici-tecnici capaci di amministrare-distribuire e tecnici-politici in grado di comprendere storicamente presupposti e possibili sviluppi del "salto d'epoca"! Questo sì sarebbe il presupposto di un vero, nuovo riformismo! Ma tutti i cantieri aperti appaiono tremendamente inadeguati alla bisogna. Quello a destra, più che a un cantiere, somiglia a una rotta disordinata (da cui emergeranno magari, di nuovo,velleità plebiscitario-populistiche). Quello Pd annaspa tra ulivismi e le nevi di un tempo delle socialdemocrazie. Al centro, tutti sembrano attendere che cosa farà Monti, ma intanto ciò che appare sono disiecta membra in competizione tra loro: l'appello ai "moderati" di Casini, in un Paese che avrebbe più bisogno di rivoluzioni che di vie di mezzo; il liberalismo di Italia futura, "offerta" illuministica, con pretese malcelate di autosufficienza, pochissimo incline a mediazione e confronto. Tutti sembrano orfani del grande contenitore berlusconiano, alla tardiva caccia, ora, di contenuti. Le scosse future non saranno ancora per nulla di assestamento.
Nessun commento:
Posta un commento