«Siamo studenti, non siamo operai». Uno slogan risuonato durante le manifestazioni studentesche di venerdì scorso ha animato il sabato della Rete. La trovata non è piaciuta nemmeno un po’ al segretario generale della Fim-Cisl Marco Bentivogli che ha il pregio di non mandarle a dire ma di esporsi in prima persona. Ecco infatti il suo tweet: «Piccoli snob radical-chic monopolizzano i movimenti degli studenti contro il loro futuro. Chiedano scusa agli operai che a differenza loro sanno quanto paghiamo gli anni di ritardo sull’alternanza studio-lavoro». Il tweet ha generato a sua volta risposte secche ed insulti ma fin qui (purtroppo) niente di nuovo. È interessante, invece, alla vigilia delle celebrazioni e degli eventi previsti per l’anniversario del ‘68 ragionare sugli slittamenti culturali che riguardano la figura dell’operaio presso le nuove generazioni.
Alla fine degli anni ‘70 il metalmeccanico era una figura quasi mitologica. Lostudente che andava in corteo cercava di seguirne l’esempio, spesso si recava davanti ai cancelli della fabbrica per condividere con lui il momento magico del picchetto e della cacciata dei crumiri. In sostanza ne riconosceva e invocava la funzione di «guida». Al punto che diversi militanti della sinistra extraparlamentare vollero provare direttamente l’esperienza di lavoro alla catena di montaggio per conoscere da vicino il meccanismo di funzionamento quotidiano del capitalismo per incamerare conoscenze e far propria la cosiddetta «condizione operaia». Poi arrivò anche il cinema e Giancarlo Giannini con la regia di Lina Wertmuller scolpì il suo indimenticabile «Mimì metallurgico». Ai giorni nostri, con la Grande Crisi alle spalle e i mille dilemmi sulla globalizzazione che avanza o che arretra, per gli studenti — almeno per quella minoranza che venerdì ha manifestato in 70 città d’Italia — l’operaio non è più quel punto di riferimento di tanti anni fa. È cambiato quasi tutto e di classi operaie non ce n’è più una, indossando la tuta si può essere tecnici del 4.0, addetti alle linee di montaggio oppure facchini della logistica. Tre lavori assai diversi tra loro. L’impressione è però che di questo mutamento i giovani sappiano poco o niente e la figura dell’operaio sia assimilata tout court al lavoro manuale o peggio allo «sfruttamento». E da qui partono tutti gli equivoci della via italiana all’alternanza studio-lavoro, errori che potremmo sintetizzare con questa espressione: come raccontare male ai giovani cos’è oggi il mondo della produzione e come volendoli attrarre siamo riusciti ad allontanarli.
Nessun commento:
Posta un commento