Nell’epoca dei social network o stai di qua o stai di là. Tutto deve essere bianco o nero. Se vuoi essere compreso dalle altre persone ti devi schierare nettamente, eliminando ogni spazio per la distinzione, per il ragionamento, per la considerazione di un reale che è sempre più complesso di come ci piacerebbe intenderlo.
Questo se vogliamo essere compresi, e letti, dai nostri interlocutori. Ma non se vogliamo comprendere. Perché la comprensione richiede di mettere da parte le semplificazioni e i partiti presi, ed impegnarsi piuttosto in quella che Hegel chiamava la “fatica del concetto”.
Se vogliamo davvero comprendere la complessa e delicata questione dei migranti, occorre fare ricorso al pensiero articolato e mettere da parte il chiacchiericcio semplificatorio. Proviamo a farlo distinguendo tre piani attraverso cui farsi un’idea chiara di questo gravoso problema.
Il primo piano è quello che possiamo chiamare “storico”. Da questo punto di vista vi sono pochi dubbi sul fatto che i migranti provengono da paesi in cui regnano la fame, la miseria e le guerre fratricide in buonissima parte per colpe riconducibili ai paesi occidentali. Secoli di colonialismo prima e imperialismo poi, di sfruttamenti, schiavizzazioni, stupri, finta decolonizzazione, imposizione di dittatori più o meno sanguinari poi rimossi, una volta che non facevano più comodo ai nostri governi, spesso attraverso guerre di cui a farne le spese erano le popolazioni. L’Occidente cristiano e liberale ha costruito la propria potenza e il proprio benessere sull’istinto predatorio e subordinante, avvalendosi di un sistema produttivo (chiamato capitalismo) che fra i suoi difetti, specie quando è lasciato libero da ogni controllo di natura politica, vede quello di garantire la ricchezza dei pochi fondandola sullo sfruttamento e sulla miseria dei molti. Il limite di questo piano è che la Storia interessa poche persone, ancor meno sono quelle che la ricordano, e comunque esiguo è il numero di coloro che ritengono che le cause lontane possono servire a capire il presente: “Perché dovremmo pagare noi oggi le colpe dei nostri antenati?!”, oppure: “Che colpa abbiamo noi?!”, rientrano fra le giustificazioni/auto-assoluzioni più gettonate.
Anche sull’onda della consapevolizzazione di questo primo piano, nasce il secondo, che potremmo definire “umanitario”. Rischiano ormai di rappresentare una netta minoranza, ma comunque non mancano (in Italia come in Europa) coloro che si appellano al motto “restiamo umani”. I porti non possono essere chiusi per coloro che fuggono da guerra, fame e violenze di ogni genere, il nostro Occidente sedicente “cristiano” non può tirarsi indietro di fronte alle spinte di integrazione e cosmopolitismo, ma soprattutto: non può trionfare il clima di odio, di xenofobia, di razzismo più o meno latente, di individuazione del nemico in figure specifiche, emarginate e derelitte (accadde già con il nazifascismo). Questo secondo piano mette in evidenza una contraddizione insanabile: da una parte i proclami a favore del restare umani e contro il clima di fascismo risorgente sono indiscutibili, a meno di non volersi escludere dalla comunità dei cristiani, dal consesso degli esseri umani e da coloro che sanno cos’è stato il nazifascismo e non ne desiderano certo una riproposizione aggiornata. Dall’altra, però, gli aneliti ideali finiscono con lo scontrarsi fragorosamente con i problemi pratici di milioni di cittadini e cittadine che infatti, parlando dell’Italia, votano in massa Salvini e secondo i sondaggi concordano in larghissima parte con le misure del governo giallo-verde. In questa ottica, chiunque prenda le difese dei migranti (specialmente a Sinistra) viene vissuto come un radical-chic scollegato dalla realtà quotidiana, una sorta di intellettuale benestante che ha smarrito quella che Gramsci chiamava “connessione sentimentale” con le masse popolari. Masse popolari che accusano la Sinistra di averle abbandonate da tempo, di essersi sottomessa ai poteri finanziari e aver interrotto le lotte in favore dei diritti sociali, dei lavoratori e, in generale, degli italiani che se la passano male. Si tratta di una sorta di doppio “tradimento” gravissimo di cui viene accusata la Sinistra: contro le classi sociali a cui storicamente ha fatto riferimento; contro gli italiani per occuparsi soltanto degli stranieri. Aggiungiamo anche per inciso che, storicamente, le popolazioni sono sempre diventate più intolleranti verso gli stranieri e pronte a gettare su questi ultimi le accuse più infamanti, quando colpite da una condizione di disagio sociale e difficoltà economica diffusa. Si può discutere quanto si vuole sulla correttezza e veridicità di tali accuse, ma non c’è dubbio che siamo di fronte a uno degli intrecci politico-culturali che hanno distrutto la Sinistra e riacceso il clima di intolleranza popolare diffusa contro migranti e persone di colore.
Il terzo piano è quello “economico”. Il ritorno in auge della teoria liberista (dominio della finanza sulla politica; uomo ridotto a strumento in vista del profitto; contrazione o eliminazione di tutte le risorse rivolte ai diritti e alla giustizia sociale), rispetto al quale la Sinistra poco o nulla ha saputo fare (e se ne vedono le conseguenze), ha prodotto quella povertà diffusa, quel disagio esistenziale e, soprattutto, quella rabbia sociale che all’interno dei nostri paesi rappresentano la benzina più infiammabile dal fuoco della questione migranti. Migranti che, anche a fronte della crisi ormai decennale in cui versano i paesi indstrializzati, faticano a trovare lavoro, cadono nella spirale della malavita e, magari per gli atti delinquenziali solo di alcuni, finiscono etichettati come un virus che debilita ulteriormente la pianta già malata della civiltà occidentale. Economici sono anche gli interessi di molti paesi europei che, la Francia su tutti, hanno in tempi molto recenti condotto guerre o partecipato alle medesime per mantenere l’influenza su territori ricchi di materie prime, guerre per cui hanno patito le popolazioni africane, che nell’anarchia più totale sono sottoposte al dominio terribile e disumano di bande criminali. Economici, infine (neanche a dirlo), gli interessi che a vario titolo ruotano attorno alla tratta di esseri umani che fuggono dalla disperazione dei loro paesi d’origine per gettarsi fra le braccia di una nuova disperazione. E spesso perdono la vita durante il viaggio.
Analizzata attraverso questi tre piani, la questione migranti dovrebbe indurre a evitare le sciocchezze estremistiche dei sovranismi talvolta velati di razzismo, come anche le inutili giaculatorie delle “anime belle” che tirano in ballo l’ “umanità” e l’ “accoglienza”, in mancanza di soluzioni compatibili con la grave crisi sociale che essi stessi hanno contribuito a realizzare genuflettendosi passivamente ai dogmi della finanza. Una politica che non sa ripensare l’Europa in maniera tale da ritrovare la centralità e guidare i processi economici (invece di lasciarsi dettare l’agenda da quelli), è una politica condannata ad alimentare la rabbia di popolazioni che si rifugeranno in sovranismi vari, i quali canalizzeranno quella rabbia contro gli obiettivi più facili e inermi: i migranti appunto. Una politica che non sa più governare la complessità, si condanna a essere sostituita da semplificazioni che governeranno la rabbia sociale. Con esiti imprevedibili.
Sullo specifico dell’Italia stendiamo un velo pietoso, calcolando che il politico più “abile” a gestire la questione migranti è un Ministro dell’interno che, forte del suo 17%, decide di farsi beffe della Costituzione salvo poi, con indosso la divisa della polizia, chiedere al Parlamento di salvarlo da un processo perché ha violato la Legge. Almeno è stata rispettata la nobile tradizione dei vari Totò, Peppino, Alberto Sordi, Troisi e Checco Zalone…
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