Appena due mesi fa l’Italia della Sanità ha festeggiato i 40 anni del SSN, un servizio pubblico dedicato alla salute che si è distinto e si è imposto in quanto universale, egualitario, equo. Proprio questi valori di “stampo” costituzionale, sono stati messi al centro della giornata celebrativa, in presenza del capo dello Stato, Mattarella, soprattutto nell’intervento della ministra della Salute, che ha difeso con passione l’importanza della legge 833, varata appunto nel dicembre del 1978.
Applausi, complimenti, abbracci, baci. E tutti felici e contenti intorno al SSN. Peccato che questo stesso Servizio, già in crisi in diverse zone del Paese - i casi di malasanità e i problemi strutturali sono pane quotidiano delle cronache - rischia di diventare per milioni di italiani solo un bel ricordo. Perché nei prossimi giorni il Governo incontrerà le Regioni per definire il percorso della cosiddetta “autonomia differenziata”, considerata da tanti una pietra tombale, una lapide, sul Servizio Sanitario Nazionale. E l’assistenza sanitaria potrebbe cambiare seguendo l’esempio dei vecchi treni di una volta, con prima, seconda e perfino terza classe, potrebbe essere trasformata in uno spezzatino saporito o indigesto in base al territorio di residenza, in un privilegio che premia i cittadini più ricchi, in un danno per i meno fortunati e meno abbienti. Non a caso è stata definita “autonomia dei ricchi”, ma forse sarebbe meglio dire “autonomia privilegiata”.
Lo scatto in avanti di questo stravolgimento radicale - che ha alle spalle una complessa storia - è avvenuto con i referendum consultivi in Lombardia e Veneto tenuti il 22 ottobre del 2017. Quel giorno votarono meno della metà degli aventi diritto, ma la stragrande maggioranza dei partecipanti si dichiarò favorevole ad una totale autonomia - più potere e più soldi, in sostanza - per l’ente territoriale su alcune ”materie” di grandissima rilevanza, come la Scuola e la Sanità. A seguire quasi un anno fa, il 28 febbraio, le due Regioni hanno sottoscritto un accordo preliminare con l’ex premier Gentiloni per ampliare le competenze e definire l’iter della legge. Questo passaggio politico è utile per ricordare che l’autonomia differenziata non è una pensata recente dell’attuale governo giallo-verde, e in particolare della Lega (e quindi di ispirazione secessionista), ma un’iniziativa sostenuta a suo tempo dal centro-sinistra. Non a caso l’accordo è stato sottoscritto anche dall’Emilia Romagna, che tuttavia ha cercato di marcare delle differenze rispetto alle richieste della Lombardia e del Veneto.
Ma perché si tratterebbe di un privilegio? Lo mettono in risalto gli stessi sostenitori dell’autonomia i quali vorrebbero che le risorse che lo Stato dovrebbe trasferire alle Regioni in base i “fabbisogni standard” - uguali per tutti - fossero calcolate tenendo conto del gettito fiscale e quindi della ricchezza delle famiglie. E dunque chi ha di più riceverebbe anche di più. Se poi vediamo l’elenco delle competenze che il Veneto vorrebbe solo ed esclusivamente nelle sue mani, allora ci rendiamo conto che è vera secessione. Come riporta una petizione lanciata su change.org dall’economista Gianfranco Viesti, la Regione vuole avere potere esclusivo su materie che vanno ”dall’offerta formativa scolastica (potendo anche scegliere gli insegnanti su base regionale), ai contributi alle scuole private, i fondi per l'edilizia scolastica, il diritto allo studio e la formazione universitari, la cassa integrazione guadagni, la programmazione dei ?ussi migratori, la previdenza complementare, i contratti con il personale sanitario, i fondi per il sostegno alle imprese, le Soprintendenze, le valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, le concessioni per l'idroelettrico e lo stoccaggio del gas, le autorizzazioni per elettrodotti, gasdotto e oleodotto, la protezione civile, i Vigili del Fuoco, strade, autostrade, porti e aeroporti (inclusa una zona franca), la partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, la promozione all'estero, l'Istat, il Corecom al posto dell'Agcom, le professioni non ordinistiche...”. In questo modo, dice la petizione, verrebbero espropriati della competenza statale tutti i grandi servizi pubblici nazionali e verrebbe meno qualsiasi possibile programmazione infrastrutturale in tutto il Paese.
Comunque l’accordo di febbraio è entrato dalla porta principale nel contratto del governo Lega-Stellato, e nella pagina dedicata all’argomento si legge che l’impegno sarà quello di porre “come questione prioritaria...per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, maggiore autonomia in attuazione dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte. Il riconoscimento delle ulteriori competenze dovrà essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse...Questo percorso di rinnovamento dell’assetto istituzionale dovrà dare sempre più forza al regionalismo applicando...la logica della geometria variabile...”.
I passaggi chiave sono “trasferimento delle risorse necessarie” e “geometria variabile”. Hanno un significato che va oltre le parole, perché in pratica confermano che chi oggi ha di più, domani - approvata l’autonomia - avrà ancora di più e inoltre che non si può essere tutti sullo stesso piano, perché bisogna tenere conto delle “peculiarità e delle
specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale” (che in teoria, dovrebbe servire per riequilibrare le differenze).
specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale” (che in teoria, dovrebbe servire per riequilibrare le differenze).
Negli ultimi giorni l’attenzione al tema si è fatta pressante da parte della Lega, perché se il progetto va in porto, si realizza uno dei “sogni” politici più importanti e caratterizzanti di questa forza politica. Al contrario il M5S appare molto poco attratto dalla discussione. E di fronte alle critiche solo alcuni parlamentari grillini si sono mostrati preoccupati (e hanno firmato la petizione). Mentre dovrebbero esserlo, perché se le analisi, se le previsioni sono fondate, i primi a rimetterci da una autonomia così spinta sarebbero i cittadini del Centro e soprattutto del Sud, ovvero il territorio bacino elettorale dei Cinque Stelle. E dopo il voto in Abruzzo, il segnale sembra chiaro, ed è questo: il M5S deve stare attento a promuovere scelte governative anti-Meridione, perché tanti suoi elettori non li hanno più votati.
La salute pubblica è il settore più sensibile, più delicato, che verrebbe stravolto da questa “riforma”. Non a caso numerose voci rappresentative della Sanità e diversi esperti hanno detto che le conseguenze potrebbbero essere devastanti. Ne ricordo una: si realizza proprio quello che per abbiamo intravisto negli ultimi venti anni come una iattura, e cioè la creazione di 21 servizi sanitari regionali, ognuno diverso dall’altro, alcuni dei quali favoriti dalle nuove norme, e altri che verrebbero invece penalizzati. Si favorirebbero accordi “locali” che potrebbero confliggere con quelli nazionali, avremmo servizi garantiti in una parte del territorio con i Lea (Livelli essenziali di assistenza), e negati altrove. So bene che queste differenze sono già presenti, però se diventeranno legge dello Stato verrebbero traditi i principi del SSN.
Il fatto singolare è che di autonomia privilegiata si è appunto parlato pochissimo finora. Forse perché la discussione renderebbe evidenti a tutti le criticità della proposta, che favorisce un solo territorio, danneggiando gli altri, minando l’unità nazionale, provocando una disarticolazione del sistema Paese “non solo in ambito sanitario, ma nell’esigibilità di tutti i diritti civili e sociali che la nostra Costituzione individua come fondamentali. Non è in gioco solo l’unità del Sistema Sanitario Nazionale, ma anche quella del sistema di istruzione, delle politiche del lavoro, della tutela ambientale e dei beni culturali. È in gioco, insomma, l’eguaglianza di tutti i cittadini della Repubblica”, sostiene Rossana Dettori della Cgil, che da tempo ha lanciato l’allerta. L’organizzazione sindacale sostiene la necessità di un sistema istituzionale decentrato che garantisca però l’unità del sistema Paese e l’esigibilità dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale: “Per questo ribadiamo l’assoluta contrarietà all’idea sottesa a queste iniziative, secondo cui l’efficienza, il benessere, gli stessi diritti fondamentali siano un bene limitato e non che la loro estensione sia una condizione di sviluppo necessaria per tutti. Inoltre riteniamo sbagliato pensare che problematiche comuni a tutto il Paese siano affrontabili con la ‘regionalizzazione’ della rivendicazione, e che il decentramento e l’autonomia siano strumenti da utilizzare per cristallizzare, se non incrementare, le disuguaglianze tra territori invece che per ridurle”.
Su lunghezze d’onda simili, Federfarma che non vuole una salute “a diverse velocità”, non vuole per il SSN “una medicina amministrata, governata dai Pil delle varie Regioni”. Perché già oggi, secondo il presidente della Federazione, Marco Cossolo, i cittadini si confrontano con una assistenza farmaceutica erogata dal Servizio Sanitario che è molto diversa non solo da Regione a Regione, ma addirittura da ASL a Asl. “I malati, pur con la stessa patologia, non ricevono gli stessi trattamenti perché variano sia i farmaci concessi sia le modalità per ottenerli, creando ingiuste disparità tra i cittadini, basate solo sul fatto di vivere in un posto piuttosto che in un altro.E’ necessario evitare di aumentare le disparità che metterebbero in crisi l’unitarietà del SSN e anche la sua sostenibilità”.
Le differenze non sono solo sui farmaci ma su tempi di attesa, gestione delle cronicità, coperture vaccinali e screening oncologici...Le disuguaglianze d’altronde sono sempre più nette fra le varie aree del Paese, come risultava dal Rapporto dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, presentato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato.
“Le proposte di autonomia differenziata, attualmente in discussione, finiranno per differenziare ancora di più l’esigibilità dei diritti dei pazienti”, sosteneva Tonino Aceti, l’ex coordinatore del TDM. “Ad essere fortemente compresse saranno le funzioni del livello centrale, di indirizzo, coordinamento e controllo delle politiche sanitarie e dell’erogazione dei servizi. L’unica vera forma di controllo che continuerà ad essere nelle mani del livello centrale sarà quella sui conti delle Regioni”. E il presidente della FNOMCeO, Anelli, ha più volte detto che “le richieste di autonomia differenziata non sono la risposta a tutte le mancate soluzioni. Il rischio è una sempre maggiore disuguaglianza in termini di accesso alle cure...Sono necessarie regole, che permettano di trovare un giusto equilibrio tra le istanze di autonomia delle Regioni e il diritto dei cittadini all’uguaglianza e alla tutela della salute queste regole non possono che scaturire da un confronto sereno tra tutte le parti in causa”.
“Le proposte di autonomia differenziata, attualmente in discussione, finiranno per differenziare ancora di più l’esigibilità dei diritti dei pazienti”, sosteneva Tonino Aceti, l’ex coordinatore del TDM. “Ad essere fortemente compresse saranno le funzioni del livello centrale, di indirizzo, coordinamento e controllo delle politiche sanitarie e dell’erogazione dei servizi. L’unica vera forma di controllo che continuerà ad essere nelle mani del livello centrale sarà quella sui conti delle Regioni”. E il presidente della FNOMCeO, Anelli, ha più volte detto che “le richieste di autonomia differenziata non sono la risposta a tutte le mancate soluzioni. Il rischio è una sempre maggiore disuguaglianza in termini di accesso alle cure...Sono necessarie regole, che permettano di trovare un giusto equilibrio tra le istanze di autonomia delle Regioni e il diritto dei cittadini all’uguaglianza e alla tutela della salute queste regole non possono che scaturire da un confronto sereno tra tutte le parti in causa”.
Il “confronto sereno” dovrebbe avvenire prima che il governo approvi le proposte di autonomia differenziata, coinvolgendo il mondo della salute, dalle organizzazioni rappresentative dei professionisti della salute, agli studiosi della materia, alle associazioni di cittadini e malati. Ma intanto sarebbe necessario un impegno chiaro da parte di chi può migliorare un disegno politico che potrebbe danneggiare milioni di cittadini. Stamattina la ministra Giulia Grillo ha scritto in un comunicato che “nessuno può più consentire che il Sud, e i suoi territori più in difficoltà, restino indietro. Lavoriamo insieme per un futuro diverso, di diritti e di rinnovate prospettive per la Calabria e per il Paese”. Bene: gentile ministra allora perché volete un riforma tanto punitiva per il Meridione? Anche ai cosiddetti sovranisti, vorrei fare qualche domanda perché il sovranismo è nazionale, non locale, non è né Lombardo né Veneto, e “prima gli italiani” non significa prima i Lombardi e i Veneti.
L'autonomia privilegiata, in realtà, nasconde una grande ipocrisia e favorisce un egoismo pericoloso per l’intero Paese. Non è mica tanto difficile capirlo.
guglielmpepe@gmail.com
@pepe_guglielmo (Twitter)
Nessun commento:
Posta un commento