Giovanni Gentile impiegò due mesi per scrivere Genesi e struttura della società, il volume che insieme ne chiude traiettoria filosofica e vicenda umana.
Presentiva la fine in quell’estate del ’43 e, a qualche amico antifascista col quale ancora manteneva contatti, aveva confessato: «I vostri amici possono uccidermi, se vogliono. Il mio lavoro nella vita è finito».
Sette mesi dopo cadde sotto i colpi di un commando comunista e Genesi, pubblicato postumo nel 1946, ne divenne testamento spirituale con intenti chiari sin dall’esergo: «è stato scritto a sollievo dell’animo in giorni angosciosi e per adempiere un dovere civile in vista dell’Italia futura».
Ma Gentile non era un illuso. Il fascismo era agli sgoccioli. Al contempo, non voleva aspettare che maturassero gli eventi perché «bisogna marciare come vuole la coscienza. L’ho predicato per tutta la vita. Non posso smentirmi ora che sto per finire». E proprio in questo ennesimo tentativo di rilancio si ripresentò uno dei motivi dell’antica frattura politica con il rivale Croce. Se, infatti, questi agevolava ogni sottolineatura distintiva nei confronti della «invasione degli Hyksos», Gentile teorizzava l’attualismo caldeggiando l’azione, tant’è che il sottotitolo è Saggio di filosofia pratica.
Genesi è infatti un lavoro impregnato di senso religioso in cui, però, risalta la relazione inscindibile tra riflessione filosofica e prospettiva pedagogica. Apre al futuro con l’intenzione di indicare i contorni su cui forgiare la vita spirituale della nazione. Conta in una idealità alta che sfiori l’eterno, che non debba per forza di cose palesarsi solo dopo la morte fisica in quanto, i valori di cui l’eterno si sostanzia, dimorerebbero nell’intimo di ogni individuo (in interiore homine) e sempre predisposti ad inverarsi nella società. Valori tradizionali, come quelli della famosa triade (Dio, Patria, Famiglia), a cui connette l’umanesimo della cultura, su cui direttamente aveva messo mano come ministro dell’istruzione, e l’umanesimo del lavoro; vale a dire, una teoria che certificasse il valore dell’agire lavorativo che mai si sarebbe dovuto esaurire nel dato salariale ma sempre elevarsi ad alta espressione dello spirito umano.
A questo punto, però, come si evince dall’ampia introduzione di Gennaro Sangiuliano alla nuova edizione del volume (Oaks edizioni, p.190, euro 19), l’intento non era più solo quello di codificare una identità italiana che potesse affondare le radici nella storia ma agevolare il grande risveglio morale e nazionale attraverso un nuovo fronte capace di tenere insieme mondi diversi.
Pur riprendendo molti dei temi utilizzati ne La filosofia di Marx del 1899, Gentile sente infatti la necessità di convogliare lo studio di una vita in una sorta di imbuto teoretico finale. Vuole riplasmare questa nuova missione di riscatto attraverso una teologia civile che non solo includa Dante, Leopardi, l’eredità risorgimentale, la centralità della scuola e della religione, ma approdi all’umanesimo del lavoro, che diviene sintesi politica fra ‘diversi’ ma anche prospettiva di azione.
Nessun commento:
Posta un commento