Matteo Salvini e Giorgia Meloni di nuovo insieme. Insieme come firmatari di un documento sottoscritto all’inizio di luglio da una quindicina di leader di partiti dell’estrema destra europea, dall’ungherese Fidesz allo spagnolo Vox, dal polacco Pis al francese Rassemblement National. Due paginette dedicate al futuro dell’Europa, un futuro ben diverso da quello sul quale si sta ragionando attraverso il processo partecipativo avviato dalle istituzioni europee con la Conferenza sul futuro dell’Europa. Sul documento sono confluite formazioni appartenenti a due gruppi del Parlamento europeo, Identità e Democrazia, del quale fanno parte la Lega di Salvini e il Rassemblement di Le Pen, e Conservatori e Riformisti Europei, presieduto da Giorgia Meloni.
Nei commenti a questo appello ci si è soprattutto soffermati sui potenziali risvolti politici, ad esempio con riguardo alla futura collocazione di questi partiti nel Parlamento europeo, o con riferimento alle contraddizioni interne, come quelle relative alle “amicizie internazionali”. I contenuti del documento sono stati descritti e perlopiù evidenziati per la loro natura ostile all’attuale Unione e il loro carattere sovranista. Ma, in realtà, ciò che li rende particolarmente interessanti è la reinterpretazione, fumosa, omissiva, ambigua, della Storia che propongono.
«La turbolenta Storia dell’Europa», si legge nel documento, «in particolare nell’ultimo secolo, ha prodotto molte sventure. Nazioni che difendevano la loro sovranità e la loro integrità territoriale da aggressioni hanno sofferto al di là di ogni immaginazione. Dopo la Seconda Guerra mondiale, alcuni paesi europei hanno dovuto combattere per decenni il dominio del totalitarismo sovietico prima di riottenere la loro indipendenza». Non si dice altro su quella fase storica. Si lasciano indistinti gli accadimenti del Secondo conflitto mondiale. Forse li si mescola con quelli della Grande Guerra, in un calderone dove i vari nazionalismi possano attingere per costruire i propri miti.
Si pensi alla manipolazione della Storia a fini propagandistici che sta operando da diversi anni Viktor Orbàn, centrata sulle perdite territoriali dell’Ungheria in seguito al trattato di Trianon (1920). Al tempo stesso, e soprattutto, mentre si fa esplicito riferimento al totalitarismo sovietico, nemmeno si nominano il nazional-socialismo tedesco, il fascismo italiano e i loro tanti alleati e collaboratori. Com’è possibile ometterli allorquando si evoca la «turbolenta Storia» dell’ultimo secolo? Se lo si fa vi deve essere una ragione. Forse non si vogliono irritare segmenti di un potenziale elettorato. O comunque si preferisce sfumare quel “passaggio” della Storia europea per non doversi confrontare con esso nello stesso momento in cui si pone al centro delle propagande sovraniste l’esaltazione della nazione. Quante “tradizioni nazionali” uscirebbero malconce da un tale confronto!
Ricordare il totalitarismo sovietico, ma dimenticare tutto il resto. Questo sconcertante approccio fa venire alla mente le osservazioni sviluppate nel suo ultimo libro da Anne Applebaum, liberale e conservatrice, premio Pulitzer per l’opera “Gulag”, sulla fine del comunismo. Su come quest’ultima evidenziò che non per tutti l’anti-comunismo era stato un sentimento vissuto, una battaglia condotta, in nome della libertà, un atto anti-totalitario, riprendendo il titolo del saggio di André Glucksmann. D’altro canto, in quelle due paginette, che tanto dicono dei loro estensori, non si parla mai di libertà. Se non in due passaggi, dove si richiama la libertà delle “nazioni”.
Le “nazioni” sono al cuore dell’Europa, non i diritti e le libertà individuali. D’altro canto, nelle tragedie del XX secolo sono le nazioni ad essere indicate come le vittime, non le vite sconvolte e strappate di milioni di donne e uomini. Le nazioni come corpi organici. Non cercatelo l’individuo, non lo troverete. Tanto meno i suoi diritti. I diritti sono quelli della nazione, richiamata in due cartelle quattordici volte; due volte sono ricordati i cittadini: quelli che rispettano le tradizioni europee e sono rappresentati dai partiti che le difendono e i membri delle nazioni europee che stanno perdendo fiducia nelle istituzioni dell’Unione.
La Conferenza sul futuro dell’Europa prima citata richiama i valori «sanciti dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze». In ultima istanza è l’uomo, con la sua libera ricerca della felicità, il valore ultimo da tutelare e affermare. Tradizione, Cultura, Nazione, sono invece i valori ultimi per queste nuove (ma anche vecchie) destre europee, e poco importa che i loro leader ci credano davvero: agiscono come se ci credessero e della interpretazione di quei concetti reificati fanno strumento di consenso e di potere. E manipolano la Storia, con omissioni, confusioni, banalizzazioni. Per poter liberamente proporre come nuovo un discorso pubblico tragicamente già noto e celarne la enorme, potenziale, pericolosità, oltreché la sua più completa illiberalità. Denunciano la volontà di creare un Super-Stato europeo implicitamente evocando come spauracchio il modello sovietico per potere esaltare l’incapsulamento dei cittadini in nazioni autonome: che una delle grandi conquiste della cultura europea sia l’idea dei diritti universali che trascende appartenenze e particolarità lo ignorano (o preferiscono ignorarlo).
L’adesione di Salvini e Meloni a questa destra costituisce un’ipoteca sul futuro del nostro Paese. E non si tratta di un’adesione superficiale o occasionale. Certamente non lo è nel caso di Giorgia Meloni, il cui libro da poco pubblicato può essere visto come lo svolgimento della traccia sviluppata nel documento anche da lei firmato, mentre la sua propaganda è sempre coerente con quello svolgimento. Più difficile fornire una valutazione nel caso di Salvini. Tuttavia, il fatto che pur sostenendo il governo Draghi non abbia esitato a unirsi ai fautori dell’“altra” Europa, ci dice che l’opzione estremista, per motivi contingenti - la competizione con Meloni - ma anche strutturali - quello dell’estremismo è l’unico gioco che sa davvero giocare - resta per il capo della Lega un’opzione sempre possibile.
Anche Salvini, d’altronde, come Meloni, del passato fascista si rifiuta di parlare, mostrando così, come la leader di Fratelli d’Italia, l’estraneità all’europeismo dei padri fondatori che nell’antifascismo aveva un proprio pilastro. Meloni e Salvini questo sono. Sottoscrivendo l’appello della destra sovranista europea lo hanno confermato, sarebbe auspicabile che su di loro si smettesse perlomeno di farsi illusioni. Su di loro e su di una destra che vorrebbe riscrivere la storia europea dell’ultimo secolo per costruire un futuro che da democratici e liberali preferiremmo relegato alle fiction distopiche.
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