Nella sua Tesi di filosofia della storia Walter Benjamin scrisse: «Non c’è un solo documento di cultura che non sia anche nel contempo un documento di barbarie. E come non è esente da barbarie il documento, altrettanto poco lo è il processo della tradizione per cui è passato dall’una all’altra».
L'artista dissidente russo Andrei Molodkin ha annunciato che sigillerà alcuni capolavori di Picasso, Rembrandt, Warhol, Sarah Lucas, Andres Serrano e altri artisti ancora (da lui legalmente acquistati) in una cassaforte blindata progettata per distruggerli con una sostanza corrosiva nel caso in cui il fondatore di Wikileaks Julian Assange dovesse morire in carcere. Come previsto, il suo proposito è stato subito criticato da tutta una serie di commenti ed è stato liquidato come «una bravata patetica e banale per questi nostri tempi superficiali».
Reazioni come questa dimostrano sul serio la superficialità dei nostri tempi, riflettono sulla somiglianza tra questo gesto e altri analoghi del passato (da Dada a Banksy ad alcuni eco-vandali), ma trascurano del tutto il nocciolo della questione: il destino di Assange. Molodkin non sta compiendo un gesto artistico moderno, sta cercando di salvare una vita umana. Oltretutto, non è solo: dietro di lui vi è un collettivo di artisti e di collezionisti di opere d’arte animati da un’intuizione profonda. Abbiamo il diritto di goderci in solitudine i grandi capolavori dell’arte, ignorando l’orrore da cui sono emersi?
Nella sua Tesi di filosofia della storia Walter Benjamin scrisse: «Non c’è un solo documento di cultura che non sia anche nel contempo un documento di barbarie. E come non è esente da barbarie il documento, altrettanto poco lo è il processo della tradizione per cui è passato dall’una all’altra».
Il gesto della comunità degli artisti e dei collezionisti manifesta questa barbarie in modo audace. Il loro, naturalmente, è un gesto disperato e violento. E se fosse l’unico modo per stimolare la consapevolezza su quello che sta succedendo nel carcere di Belmarsh a Londra? La vera domanda, pertanto è la seguente: perché Assange è una spina nel fianco del nostro establishment politico? Perché non è un sempliciotto come la maggioranza della critica di sinistra. Nel suo Seminario sull’etica della psicoanalisi Lacan spiega in questi termini la differenza tra due tipi di intellettuali contemporanei, “fool” e “knave”: «Il fool è ingenuo, un sempliciotto, ma dalla sua bocca escono delle verità che non solo sono tollerate, ma acquisiscono una loro funzione per il fatto che talvolta il fool è rivestito delle insegne del buffone. Secondo me è quest’ombra felice, questa foolery di fondo, a costituire il pregio dell’intellettuale di sinistra e a ciò contrapporrei quello a cui la stessa tradizione assegna un termine strettamente contemporaneo, usato in combinazione con il primo, per la precisione knave. Tutti sappiamo come un certo modo di presentarsi, che fa parte dell’ideologia dell’intellettuale di destra, consista per l’appunto nel presentarsi per quello che egli è effettivamente, un knave, in altri termini nel non ritrarsi di fronte alle conseguenze di quello che chiama realismo e cioè, quando necessario, nel rivelarsi essere una canaglia».
In sintesi, l’intellettuale di destra è un “knave”, un conformista che si riferisce alla mera esistenza dell’ordine dato come pretesto per esso e deride la sinistra per i suoi piani “utopistici” che portano ineluttabilmente alla catastrofe, mentre l’intellettuale di sinistra è un “fool”, un giullare di corte che mostra pubblicamente la menzogna dell’ordine esistente, ma in modo da interrompere l’efficienza performativa del suo discorso. Oggi, dopo la caduta del Socialismo, il “knave” è un neoconservatore che appoggia il libero mercato e respinge spietatamente ogni forma di solidarietà sociale come una sorta di sentimentalismo controproducente, mentre il “fool” è un critico culturale post-moderno che, per mezzo delle sue prassi ludiche destinate a sovvertire l’ordine esistente, di fatto funge da suo complemento.
Una storiella che risale ai vecchi tempi del Socialismo realmente esistente illustra molto bene la futilità del “fool”. Nel XV secolo, quando la Russia era occupata dai mongoli, un contadino e sua moglie camminavano lungo una polverosa strada di campagna. Un cavaliere mongolo si fermò accanto a loro e disse al contadino che avrebbe violentato sua moglie. Quindi aggiunse: «Siccome il terreno è molto polveroso, però, tu dovrai reggermi i testicoli mentre violenterò tua moglie, affinché non si sporchino!». Quando il mongolo ebbe concluso le sue faccende e si fu allontanato, il contadino iniziò a ridere e a saltare dalla contentezza. Stupefatta, la moglie esclamò: «Come puoi saltare felice, quando io sono appena stata brutalmente violentata in tua presenza?». E il contadino rispose: «Però io l’ho fregato! Le sue palle si sono ricoperte di polvere!».
Questa triste storiella rivela la difficile situazione in cui si trovano i dissidenti: pensavano di sferrare duri colpi alla nomenklatura del partito, quando in verità non facevano altro che impolverarne un po’ i testicoli, mentre la nomenklatura andava avanti a stuprare il popolo. La critica contemporanea di sinistra non è forse in una situazione del genere? Tra chi oggi inzacchera leggermente le palle di chi è al potere, ci sono i woke della cancel culture e i guardiani occidentali delle “libertà dell’individuo”.
Il nostro compito è scoprire come andare un passo oltre – la nostra nuova versione dell’Undicesima tesi di Marx dovrebbe essere la seguente: nelle nostre società, fino a questo momento le sinistre critiche hanno sporcato appena appena le palle dei potenti, mentre l’importante è castrarli.
Niente di meno di quello che ha fatto Assange. Insomma, potremmo dire che Assange è la nostra Antigone, tenuto per anni nella condizione di un morto vivente (cella di isolamento, contatti molto limitati con la sua famiglia e i suoi avvocati, senza condanna e perfino senza accusa formale, sempre e solo in attesa di estradizione). Il cappio che ha attorno al collo si sta stringendo poco alla volta ma, a quanto pare, inesorabilmente. Nel caso di Assange, il tempo gioca a favore di Stati Uniti e Regno Unito: possono permettersi di attendere, contando sul fatto che l’interesse dell’opinione pubblica andrà scemando gradualmente, soprattutto per il prevalere nei nostri media di altre crisi internazionali (le guerre in Ucraina e a Gaza, il riscaldamento globale, la minaccia dell’AI...). Quello che accade ad Assange, quindi, sempre più spesso è qualcosa di cui si parla a latere nei nostri mezzi di informazione più importanti: il fatto che resti rinchiuso da anni in isolamento fa semplicemente parte delle nostre vite.
Assange va citato sempre, quando siamo presi dalla tentazione di esaltare le nostre società democratiche occidentali, con i loro diritti umani e le libertà, oppure quando critichiamo l’oppressione musulmana, cinese o russa: il suo destino è un monito del fatto che anche la nostra libertà è limitata. Assange è dunque la vittima di una nuova neutralità apolitica: non è vietato citarlo, ma non ci interessiamo più a lui, e la sua detenzione continua in un’indifferenza sempre più grande.
Alcuni liberal criticano Assange perché si concentra soltanto sull’Occidente liberale e trascura ingiustizie molto più gravi in Russia e in Cina, ma non centrano il punto. Prima di tutto, Wikileaks ha diffuso molti documenti comprovanti anche le atrocità commesse fuori dall’Occidente liberale. Tuttavia, nei nostri media queste ingiustizie sono presenti molto spesso e ne leggiamo di continuo. Il problema dell’Occidente è che noi tendiamo a ignorare i Paesi in cui talvolta vi sono ingiustizie molto più gravi (basti citare l’Arabia Saudita, di gran lunga peggiore dell’Iran). Talvolta ci sentiamo liberi soltanto perché ignoriamo le nostre libertà mancate, mentre in Russia e in Cina il popolo è pienamente consapevole di queste ultime.
«Perché osservi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo?» (Matteo 7:3). Assange ci ha insegnato a prestare attenzione alla trave che abbiamo nei nostri occhi. Per la precisione, ci ha fatto vedere la connivenza velata tra la trave nel nostro occhio e quella nell’occhio del nostro nemico. Il suo metodo ci permette di scoprire la solidarietà e i paralleli tra avversari nelle grandi battaglie di cui sono intrisi i nostri media. Per il nostro stesso bene, non dovremmo permettere che Assange precipiti in questa oscurità invisibile. E quindi, pensate che il gesto di Molodkin sia sbagliato e controproducente? Va bene, ma allora non perdete tempo ad analizzarlo come gesto artistico. Cercate invece modi più efficaci per aiutare Assange. Nella situazione in cui si trova, nessuno che abbia la coscienza pulita ha il diritto di pensare di potersi lanciare in giudizi estetici distaccati. In gioco c’è il nostro destino.
Traduzione di Anna Bissanti
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